Il RACCONTO NELLA BOTTIGLIA:
Fammi Signore una creatura di silenzio e di lode !
Cianfrusaglie di ontologia, scienza e fede
Di
Domenico Maria Taverna
A MIA FIGLIA LORENZA:
Dal
diario di bordo del 16 settembre di un anno nascosto alla parola.
Mattino
d’estate. Molto presto. Alle ore 5.00 U.T.C percorriamo la nostra abituale
rotta per 15 miglia
al traverso del faro di Capo Corso (Corsica) . C’è bonaccia di vento e il mare
è come un olio blu. Un gabbiano innanzi alla nostra prua ci avverte che siamo a
breve distanza da terra. Più in là, sulla dritta, il marinaio ci dice di due
delfini che ci affiancano nel nostro cammino.
Mi
viene in mente quella poesia di Eugenio Montale
sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai; perché tutte le
immagini portano scritto:
“ più in là”.
Viviamo
in un mondo fatto di cose viventi, un mondo di essere, di vita, cose che hanno
dentro una forza vitale che le sostiene e che a sua volta si autosostiene e che
rinvia sempre oltre e sempre ad altro. E’ vero: tutte le cose portano su
scritto più in là.
Fammi Signore una creatura di silenzio e di lode !
Partiamo da una constatazione. Tutto ciò che io
osservo nella realtà, un lago, una pietra, una penna, la luna…sono degli
oggetti che esistono. Io li vedo, li sento, li tocco ne rilevo il profumo e ne
constato la consistenza. Bene. Questi oggetti li chiamerò essenti in accordo
con i filosofi presocratici che in greco li denominarono onta (da qui il
termine ontologia, cioè studio della realtà delle cose). Gli essenti (le cose)
sono quindi dei portatori di qualcosa che noi predichiamo con il verbo
esistere. In altri termini gli essenti sono portatori di Essere e hanno una
determinata essenza o forma che li distingue gli uni dagli altri. Un gatto non
è una pietra, una penna non è un lago. Ciò perché la forma, (che ti prego di
non confondere con la fisionomia esterna delle cose) meglio sarebbe chiamarla
essenza, si è attualizzata, ha cioè ricevuto l’essere divenendo quell’essente e
non un altro.
Problema:
ma allora esiste tutto un mondo di essenze che aspettano di essere
attualizzate? Platone la pensava così e diede a queste essenze il nome di Idee.
Anche qui ti prego di non considerarle come le idee che ci vengono in mente
prima di fare qualcosa per cui usiamo dire “ho avuto una idea per la festa di
domani” o “fatti venire un’idea per questa sera”. NO. L’idea platonica,
chiamata anche ousia, è la essenzializzazione del reale. In altri termini
questo libro esiste (come essente) qui e ora ed esiste pure come libro in
quanto tale, esiste cioè come “libreità,” cioè come quell’essenza che fa di un
libro il libro. Per tornare agli esempi degli essenti che ho fatto sopra avremo
la “laghità” ciò che fa di un lago il lago, la “pietreità” ciò che fa di una pietra
la pietra, la “pennità”, “la lunità”,e cosi via…
E
cosa fa di un uomo l’uomo? L’“umanità”, l’essere uomo in quanto tale.
Quindi,
con questo ragionamento, io e te siamo, esistiamo, in quanto l’essenza umanità
si è concretizzata, si è attualizzata (si è resa cioè attuale, visibile,
concreta), ha preso forma in noi.
L’Essere è stato “informato”: ha, cioè, ricevuto la
forma. Gli essenti (le cose) e noi, allora, siamo composti da Essenza e Essere. L’unione di queste due cose
si chiama esistenza ed ecco perché gli essenti sono per loro natura portatori
di esistenza.
Problema:
ma questi essenti da dove l’hanno preso l’essere? Attenzione, ho detto essere
non esistenza. Prima di risponderti è bene che rifletta su una cosa e cioè sul
concetto di contingenza e necessità. Una cosa è contingente quando il suo
esistere dipende da un altro. Tu sei contingente perché senza mamma e papà non
saresti nata, una pianta è contingente perché senza semi non sarebbe cresciuta…
e così via. Invece una cosa è necessaria quando il suo essere non dipende da
nessun altro. Nasce in sé, vive in sé e cresce in sé. A questo stadio io non so
ancora se esista un Ente
necessario. Quello che so è che gli essenti sono portatori di essere, HANNO
l’essere ma NON SONO l’essere. Anche io e te, a ben pensarci, viviamo, abbiamo
la vita ma non siamo la vita. L’essere quindi lo abbiamo ricevuto, forse, da
qualcuno che lo possiede in sé in maniera veracissima ed eminentissima e che
con un suo atto ce lo ha dato. Questo qualcuno (e dico qualcuno e non qualcosa
perché se fosse una cosa - energia, marziani, vita cosmica - sarebbe un essente
e torneremmo al punto di prima) è ciò che si chiama Ipsum Esse Subsistens,
ovvero l’Essere per sé stesso sussistente che ci comunica l’essere con una sua
azione che si chiama actus essendi, ovvero atto d’essere. Quindi fa’
attenzione. L’Ipsum Esse Subsistens, tramite l’actus essendi, rende esistente
(attualizza) ciò che prima era solo in potenza (essenza), dando quindi dignità
di esistenza all’essente che, di per sé, è soltanto una possibilità. È chiaro
allora come siamo nati io e te? Non siamo altro che l’attualizzazione di una
potenzialità (non di una idea platonica preconfezionata) che si è attualizzata
grazie all’actus essendi. Per meglio farti capire, immagina un blocco di marmo
a forma di parallelepipedo di due tonnellate e supponiamo che tu sia una
scultrice.
Da questo blocco ci puoi ricavare la statua di un
gigantesco gatto, di un gigantesco cane, la statua mia, la statua tua o, se ti
va e sei proprio brava, il David di Michelangelo. Nel blocco, allora, ci sono
in potenza 5 statue . Tu però ne farai solo una. Quelle che scarti non sono più
potenzialità, ma solo occasioni o opportunità perse. Non esistono più da
nessuna parte perché sono esistite per un attimo solo come possibilità di
essere (magari nelle tue ipotesi di scultrice), ma al momento che tu ne hai
attualizzato una necessariamente le altre non esistono più.
Allora
l’Ipsum Esse Subsistens , l’Essere per se stesso sussistente, mediante il suo
actus essendi (atto d’essere) ci ha reso attuali da che eravamo solo
potenzialità di sussistere (le 5 statue) e, come lo scultore dà vita alla
statua attualizzandola nella sua forma con lo scalpello, l’essere per se stesso
sussistente dà vita al nostro corpo, attualizzandolo nella sua forma al momento
del concepimento. Tu mi dirai:
“ma
il concepimento è opera di mamma e papà, che c’entra L’Ipsum Esse Subsistens
?”. Certo, lo spermatozoo lo mette papà e l’ovulo mamma, ma chi ha fatto in
modo che dall’unione dei due nascesse la vita e una vita umana in grado di
vivere, pensare e volere? Che c’entra, mi dirai, anche le scimmie o i cani
danno alla luce i piccoli con l’unione dei propri gameti maschili e femminili.
Questo è il progetto della vita, non vedo cosa possa entrarci Dio. Dovremo
credere allora pure all’anima? No, ti rispondo. Non ancora. Mi basta solo che
tu, a questo stadio, ammetta che sei molto diversa da un gorilla e dichiari che
il tuo cane non ha mai scritto poesie. Mi basta. Poi affronteremo il problema
di cosa è la persona e di quali siano i suoi rapporti con il corpo e, se ti va,
con l’anima. Come vedi, fino a questo punto non ho ancora usato la parolina D.
I. O.
E
mo’ viene il bello.
Un
essente, per essere, deve essere anche Uno (non pensare all’uno matematico).
Uno vuol dire presenza, vuol dire unità. Se metto una mela sul tavolo, posso
affermare che esiste perché è Uno, cioè ha il carattere della presenza
unitaria, c’è, è presente, è tangibile (la stessa cosa dico anche se ne metto
due di mele, perciò ti ho detto di non pensare all’uno algebrico).
Quindi
la mela è, perché è Uno. Allora l’Essere è, perché deriva dall’Uno, partecipa dell’Uno.
Fermati, respira: ecco ciò che tutti comunemente chiamerebbero DIO.
Dio, tesoro mio, non è solo l’Essere, ma è anche oltre
l’Essere. Dio è ciò che fa sì che l’Essere sia. Il vecchio Parmenide, un
filosofo delle nostre parti campane, soleva ripetere che l’essere è, e il non-
essere non è. Ciò che fa sì che l’essere sia, tutti lo chiamano comunemente
Dio.
Quindi
Dio è l’Ipsum Esse Subsistens che, con il suo actus essendi, pensa con un
pensiero che fa essere le cose e crea la vita. Alla domanda perché c’è l’essere
e non il nulla, se ne aggiunge un’altra: perché l’essere è? Qui entriamo nel
mistero, dove la nostra mente può solo perdersi nella contemplazione e nel
silenzio. Nulla possiamo dire veramente dell’Uno, di questa forza originaria
dell’universo che è la sua stessa attività autoproduttrice ed è Libertà.
Ma
andiamo con calma. Ora sei pronta a capire altre cose.
Iniziamo
col dire che cosa significa vivere. Vivere significa avere in sé una attività
propria, un principio intrinseco che ha il potere di possedere il suo stesso
sviluppo. Vi sono due tipi di vita: la vita perfetta (che è quella di Dio),
cioè quella dell’essere che si possiede, si conosce e si ama (i cristiani così
pensano la Trinità), la vita di Dio in se stesso, e un altro tipo di vita: la
vita imperfetta quella cioè degli essenti (io e te compresi), che è un
movimento di crescita nell’essere, di cominciare ad esistere, di acquisto e di
sviluppo (crescete e moltiplicatevi, fu secondo il racconto della Bibbia il
comando di Dio agli esseri viventi).
Come
si passa dall’Uno agli essenti, dall’Uno ai molti? e perché esistono gli
essenti? Perché cataloghiamo 157.000 specie di farfalle, 2.000 varietà di rose,
350.000 specie di coleotteri, 7 miliardi di umani, 300 milioni di scimmie, 40
specie di bocche di leone? Insomma come
si passa dall’Uno ai molti?
La
risposta plausibile, già escogitata dai filosofi medio platonici e neoplatonici
del tardo-antico, è: per traboccamento d’Essere dall’Uno. Questa pienezza di
vita in sé è tale e tanta che esonda, stravasa, deborda da tutte le parti,
generando via via essenti fino all’estrema periferia materiale, agli stati di
materia minerale inanimata che sono un po’ come gli ultimi prati, frontiere
desertiche oltre le quali c’è il ni-ente (alla lettera, nihil ens = nessun
essente). Abbiamo così una scala di perfezioni degli essenti. Più si sale verso
l’Uno, più si acquista essere. Più discende verso i molti, e più l’essere
diminuisce. La più perfetta ipostasi, cioè la prima tappa di questa scala che
procede dall’Uno, è, secondo quegli antichi filosofi, il Logos, la sua mente,
la sua parola, il verbo essere fatto persona: Cristo, che è quindi “Dio da Dio,
luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato della stessa ‘sostanza’
(numerica) del Padre”. Questa scala, allora, avrai capito che non è la scala
evoluzionistica, dove l’ameba viene vista meno perfetta, meno evoluta del
neurone (cosa sbagliata perché in sé l’ameba è perfettissima di suo), ma una
scala ontologica, una scala cioè che riguarda la pienezza d’Essere degli
essenti: “il padre è più grande di me”, una scala fatta di trascendenza cioè di
continenza eminente dell’essente trasceso. Ti spiego. Nessuno avrà nulla da
dire se affermo di valere più di un sasso. Io trascendo il sasso in maniera
eminente dal momento che posseggo gli stessi oligoelementi del sasso, ma questi
in me entrano in un biochimismo diverso: nella struttura di certe proteine
enzimatiche, nella costituzione delle membrane mitocondriali della cellula, in
alcune catene anticorpali.
Te l’ho
fatta un po’ lunga ma era importante perché adesso dobbiamo parlare di quel
concetto tanto discusso, ma tanto attuale, che è la creazione. Questo concetto
è di origine filosofica, cioè sono stati per prima i filosofi greci che l’hanno
intuito, ma è stato in qualche modo rubato e trasferito sul piano religioso
ebraico. Per gli ebrei esiste lo Zim Zum, una espansione e contrazione di Dio
che così da origine al cosmo. Dio crea contraendosi, cioè si ritira e così
appare la materia che è altro da Dio. Il concetto di creazione oggi appare
sempre più discusso dal momento che anche le scienze hanno qualcosa da dire con
il modello inflazionario del Big Bang.
Tutto
questo a me e a te non interessa perché non stiamo parlando dell’inizio e di
come esso sia avvenuto. Una volta stabilito che esiste, per necessità logica,
l’Essere per Se Stesso Sussistente, che genera ma non è generato, non ci
interessa sapere come fa, o come ha fatto a creare gli essenti. Mi può star
bene Linneo, Darwin e perfino l’ipotesi della eternità del mondo. Faccio una
breve parentesi per spiegarti perché, pur essendo creato, il mondo potrebbe
essere eterno. Prendo spunto da una operetta che si chiama ‘De Aeternitate
Mundi’ di Tommaso d’Aquino, nella quale l’autore si chiede se siano
contraddittori questi due asserti: 1)”il mondo è stato creato da Dio”, 2) “il
mondo è eterno”, e conclude che non vi è nessuna contraddizione logica dal
momento che la causazione è ontologica non temporale (Dio non crea nel tempo),
cioè il porre in essere qualcosa da parte di Dio può benissimo essere avvenuto
dall’eternità. In altri termini, pur essendo “il prodotto”, l’universo ha le
stesse caratteristiche del “producente”. Oggi sappiamo che se abbiamo
un’equazione del tipo: X = 1/2senY, definita equazione oscillatoria,
(sufficientemente rappresentativa di una fluttuazione quantica del vuoto), man
mano che ci avviciniamo all’origine degli assi cartesiani, il numero delle
oscillazioni diventa infinito e quindi non misurabile. Hanno un bel dire coloro
che vogliono trovare un Inizio (nella teoria del Big Bang al momento che scrivo
pare siamo arrivati a sapere le condizioni dell’universo dopo i primi 3
millisecondi dall’esplosione). Ci mancano solo 3 millisecondi per conoscere
l’Inizio del tempo, ma può anche essere che se il modello è quello
dell’equazione, i nostri dati segneranno una non misurabilità dell’Inizio. Dio
non crea nel tempo, ma crea il tempo.
Dio
ha creato tutto. Per meglio dire, mediante il pensiero, mediante il Logos, Dio ha
creato tutto. Ora il Logos, il pensiero di Dio, il Verbo, è Cristo. Ecco perché
nel credo niceno-costantinopolitano diciamo “per mezzo di Lui tutte le cose
sono state create” e Giovanni nel Prologo ci dice “tutto è stato fatto per
mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”.
Dunque
Cristo è il vero progetto della creazione. Progetto con cui tutta la creazione,
tutta la realtà è stata pensata. Il progetto del mondo e della storia.
Ma
perché Dio ha creato il mondo? Io penso, senza timore di essere smentito, per
amore del Figlio. Tutta la creazione è un dono che il Padre fa al Figlio. Anche
quel “facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” (che altro non era se
non a immagine e somiglianza di Cristo) doveva essere in origine un dono,
insozzato poi da Satana.
Noi esseri
viventi ed umani, quindi, nel creato vi entriamo come i cavoli a merenda. Non è
che Dio ha pensato a noi come fine della creazione, perché nella sua infinita
gloria che Egli ha in se stesso, da se stesso e per se stesso e che è la sua
vita, Egli possiede già la pienezza dell’Essere ed è infinitamente glorioso e
glorificato, quindi anche perfettamente felice e beato.
Se
Dio avesse creato per un altro fine che non sia Dio stesso, avrebbe subordinato
il suo atto creativo a questo fine, assoggettando se medesimo e allora questo
fine finirebbe con l’essere al di sopra di Dio e Dio non sarebbe più Dio così
come bisogna pensare un Dio.
L’intera
creazione dunque non può esistere che per Lui. In altri termini tutti gli
essenti trovano la loro ragione d’essere come principio nella sua potenza e la
loro ragion d’essere come fine nella sua gloria.
Allora,
se tutto è fatto per Dio, ed io mi trovo, con il cosmo, ad essere esistente, vuol
dire che anche io sono fatto per Lui. Ciò significa che Egli ha voluto la mia
creazione (l’actus essendi ricordi ?) e le ha assegnato un fine e in questo
fine due interessi: la sua gloria e la mia felicità.
Dio
poteva non crearmi (sarei stato una delle pur possibili statue non scolpite,
ricordi?). Nulla nell’essere delle cose reclama la mia esistenza. Ma
dall’istante stesso che mi creò, pretese che ciò fosse fatto per la sua gloria.
Egli volle elevarmi fino alla partecipazione della sua propria felicità, della
sua propria vita intratrinitaria. La mia creazione è dunque una libertà
gratuita, non richiesta dall’essere delle cose. Come devo rispondere io a
questo dono? fortuna? caso? Che devo fare io dal momento che mi sono scoperto
portatore di Essere senza alcuna richiesta da parte mia? Dal momento, cioè, che
mi sono scoperto statua finita, che devo dire allo scultore che mi ha scolpito?
Innanzitutto
lodarlo e ringraziarlo per aver scelto me e non un’altra statua che pure poteva
liberamente fare e allora non sarei esistito e poi considerare che il divino è
anteriore e superiore all’umano. Anteriore perché egli era scultore prima che
io fossi statua, superiore perché la sua arte di scalpellino trascende il mio
essere blocco di marmo. Da qui allora due conseguenze importanti. Poiché il
divino è anteriore all’umano, ne deriva che nessuna idea di ragione può far
passare in secondo piano l’interesse divino a quello umano. La statua non può
cercare la sua felicità prima dell’onore che deve allo scultore che l’ha fatta.
Il secondo principio riguarda invece la superiorità del divino che stabilisce
la regola che lo scultore dà alla statua, secondo la quale essa è obbligata a
servirlo. Dunque subordinazione logica e pratica del mio interesse a quello di
Dio. Egli il primo; io il secondo. La sua gloria prima di tutto. La mia
felicità dopo; però c’è da dire che questa non può essere solo posteriore alla
gloria, ma deriva da essa. La mia felicità è nel rendere gloria a Dio, anzi se
proprio lo vuoi sapere, non ho altra ragione d’essere che la sua gloria
procurata in una maniera qualunque non importa quale, come e dove.
La
mia felicità deve essere unita alla sua gloria e “non osi separare l’uomo ciò
che Dio unisce”. Altro che matrimonio, qui si parla del piano della creazione.
C’è tutta una intera mostra di statue che lo scultore ha organizzato come dono
al suo figlio e a me statua non è consentito girovagare per gli stand, se non a
certi patti e condizioni. Vediamo meglio.
Nel
piano della creazione al primo posto viene la gloria di Dio, da ricercarsi
prima di tutto e in tutto (per l’anteriorità e la superiorità del divino). Al
secondo posto la mia felicità da ricercare in conformità a questa gloria, cioè
in essa e per mezzo di essa, quindi la mia felicità non deve risiedere nella
frenetica ed esclusiva ricerca di beni materiali, nel mettere nella mia vita al
primo posto case, macchine, pellicce, gioielli, donne e uomini, telefonini,
BOT, azioni, barche (e attenzione perché pure il povero, che tutto questo non
se lo può permettere, sta allo stesso livello quando è felice nel possesso di
un nuovo straccio). No. Via tutto. I beni creati sono strumenti che
debbo usare innanzi tutto per la gloria di Dio e nella misura in cui sono
capaci di procurarla. “Non preoccupatevi. Di tutte queste cose vanno in cerca i
pagani. Il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate prima di tutto il
regno di Dio e tutte le altre cose vi saranno date per aggiunta” (Matteo 6-33).
Dicendo prima di tutto, voleva dirci che l’altro è da ricercarsi dopo, non in
ordine di tempo ma di dignità. Il regno di Dio come bene, l’altro come
necessità in vista di quel bene. Solo così si è liberi dalle cose e non si
prova nessun sentimento di invidia. Che libertà, tesoro! Che libertà!
Tutto
questo, che fin qui ti ho scritto sull’ordine della creazione, è ben
sintetizzato nel Padre Nostro. Esso contiene i beni da desiderare, i mali da
evitare, il coordinamento dei beni creati, il fine da raggiungere, la via da seguire
e i mezzi da usare per il raggiungimento di questo fine.
Vediamolo
insieme.
Padre
nostro
Dio ci è padre. Questa è la buona notizia, la
novella, l’evangelo, il messaggio che ci ha dato il Cristo. Il Dio filosofico,
quello dell’Ipsum Esse Subsistens, l’Uno di plotiniana memoria, è ora
configurato come il padre di tutti, perché a tutti ha donato l’Essere.
Nostro e non solo mio, perché abbiamo dei doveri nei riguardi del prossimo e
perché prima di essere individui siamo un’umanità creata. Quello del rispetto
dovuto a chi avendo, come noi, ricevuto l’Essere , è altro da noi, è
inviolabile, è persona (poi vediamo meglio).
Che
sei nei cieli
Se sta “lassù”, vuol dire che ci guarda dall’alto,
che il suo sguardo sulle cose gode di una prospettiva diversa, è il
Trascendente. Lui, che gli essenti li crea mediante il suo actus essendi, deve
per forza avere uno sguardo diverso, distaccato e onnipotente sulle sue
creature. Il Trascendente è, come sostiene qualcuno, il Totalmente Altro.
Ineffabile. Indicibile. Inconoscibile. Incalcolabile. Inqualificabile. Anche
se, poi, il veramente ineffabile è colui che ci dona i mezzi per poterne in
qualche modo parlare.
Sia
santificato il tuo nome
Questa
espressione, messa all’inizio, mi indica quale deve essere la preoccupazione
principale, il desiderio essenziale, il motivo fondamentale della mia
preghiera. Ma che significa? Che cosa è il nome di Dio? Il nome di Dio è Dio
stesso, Dio manifestato a noi, è la sua maestà rivelata alla nostra mente: “Io
sono colui che sono” (Esodo 3,14). Io domando allora e mi auguro, che la
santità dei miei atti procuri a Dio la gloria perfetta e che la terra tutta gli
canti lo stesso inno del cielo, riconoscendolo, come si deve e come egli è,
Colui che è lo stesso essere sussistente.
Venga
il tuo regno
Un
regno è una organizzazione di uomini sotto il governo di una autorità affinché
siano loro assicurati i benefici, le prosperità e le ricchezze del regno. Io
domando allora per me e per tutti la partecipazione ai beni di questo regno,
che tuttavia non è di questo mondo. Come vedi, questa domanda fa seguito a
quella della santificazione del nome perché la felicità dell’uomo segue la
gloria di Dio.
Sia
fatta la tua volontà
Per
la santificazione del nome di Dio e l’avvento del suo regno, bisogna seguire
una via. Ma come faccio se non la conosco? La via non è altro che la sua
volontà, essa mi indica per dove devo passare, che cosa devo fare, che cosa
evitare per dare gloria a Dio ed entrare nel suo regno.
Come
in cielo così in terra
Fa’ che
questa volontà, questa via, così chiara in cielo (nella vita intratrinitaria di
Dio) sia anche a noi nota qui in terra, dove i nostri occhi sono come quelli
dei pipistrelli che non riescono a fissare la luce e conoscere la verità se non
come in uno specchio e nell’enigma.
Dacci
oggi il nostro pane quotidiano
Dacci cioè i
mezzi per percorrere questa via. Fa che non ci manchi il nutrimento dell’anima
(pane di vita eterna) e del corpo (pane alimento) affinché percorrendo la via
della tua volontà possiamo glorificare il tuo nome ed essere felici.
Rimetti
a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori
Dopo
aver chiesto, come fine, di glorificare il suo nome, di conoscere quale è la
via per farlo e i mezzi che mi sono necessari a percorrere questa via, non mi
resta altro che chiedere l’allontanamento degli ostacoli. Ora, il primo
ostacolo è il peccato che, per invidia del demonio, mi distoglie dal fine.
Anziché glorificare Dio considerandolo mio fine, io mi rivolgo alle creature e
considero loro come mio fine. Come dicevano i medioevali, volto le spalle a Dio
e rivolgo la mia faccia alle creature. Io però non credo che qui sia in gioco
soltanto il piacere mondano. Questo “peccato” è innanzitutto un pervertimento
della mente, un allontanarsi da quella visione delle cose che ho prima esposto
a proposito della verità degli essenti, uno stravolgere il senso della
creazione e considerare l’uomo non come portatore di essere, ma solo come
esser-ci, gettato nel deserto infecondo dell’esistenza senza radici. Ognuno di
noi come un’isola nel mare della gettatezza. Questo essere gettati nella vita
(sono le filosofie esistenzialiste ad illustrare ciò) ci porta fuori da quella
visione unitaria del mondo, dal quel senso della presenza di Dio nella storia e
ci fa sentire sull’orlo dell’abisso, ai confini del nulla… e ci pervade un
senso di nausea (Sartre).
Come
si esce da tutto questo? Con la conversione, in greco metànoia. Convertirsi significa meta-noèin,
approfondire il pensiero andando al di là dell’ovvio, cambiare visione del
mondo, impegnarsi per avere uno sguardo diverso sulle cose e sugli uomini. “Il
regno di Dio è vicino: convertitevi (cioè cambiate pensiero e prospettiva di
vita) e credete al vangelo (cioè aprite il cuore ad una notizia che dà felicità)”.
Allora,
quel “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”
vuol dire perdona le nostre colpe, come noi le perdoniamo a coloro che ci hanno
offeso. Come faccio a sapere quali colpe ho, se non faccio meta-noein, se non progredisco nell’appprofondimento del pensiero
(il convertitevi) ? e come faccio a perdonare gli altri se non apro il mio
cuore trasformato (il credete al Vangelo )?
Non
ci indurre in tentazione
Secondo ostacolo che chiedo di allontanare è la
tentazione cioè la seduzione della mente, del cuore e dei sensi che, sotto la
spinta del demonio – il nemico della gloria di Dio - ci portano fuori dalla via
intrapresa per la gloria di Dio.
Ma
liberaci dal male
Infine chiedo
la rimozione del terzo ostacolo, il Maligno ed i mali dell’anima e del corpo,
che mi privano dei mezzi necessari a percorrere la via e, quindi, sarebbero
causa di diminuzione della gloria di Dio e della mia Felicità.
Il concetto di persona
Quante
volte sentiamo dire “ ho incontrato una bella persona”, “ho visto una persona
che attraversava la strada”, “in internet ho conosciuto tante persone”. Questo
linguaggio di tutti i giorni fa riferimento ad un concetto di persona che non è
corretto, o meglio non è quello che in filosofia chiamasi persona. Adesso io
dovrei, come tutti i libri, riferirti la corretta definizione di persona, ma se
lo facessi starei scrivendo un barboso testo di filosofia metafisica e finirei
con l’annoiarti e non farti capire niente. Provo invece a fartelo “sentire
intuitivamente” che cosa vuol dire persona e capirai perché, nei dibattiti di
bioetica, ci si accanisce tanto sulla domanda se l’embrione è persona. Vediamo.
Come
individuo io possiedo molte cose: ho una casa, dei libri, una macchina, un
portachiavi, uno specchio, una penna, un sigaro, un pc…. Questi, che abbiamo
definiti essenti, sono tutti intestati a me, cioè portano tutti la dicitura
“proprietà di D.M.T.” e nell’ambito della mia convivenza civile io posso
decidere di venderli, di regalarli, di donarli, di romperli, di gettarli nella
spazzatura se sono diventati vecchi e obsoleti.
Come
individuo io possiedo anche una certa intelligenza, una discreta volontà, una
capacità di fare e voler bene, una disponibilità a stabilire relazioni, una
facoltà a mettere al mondo figli, … Anche queste, che chiamiamo facoltà o mie
potenzialità, posso in qualche modo donarle: pensa a quanti scienziati dedicano
tutta una vita a trovare la formula di un vaccino, quanti tibetani, per seguire
una via ascetica, si ritirano nel deserto senza più avere alcuna relazione con
gli altri, quante banche del seme custodiscono, criocongelandola, la facoltà
procreativa di altri.
Ma
c’è una cosa che io proprio non posso dare a nessuno: la persona. Mi spiego. Se
tu stai dal dentista (spero che tu non ci abbia mai avuto a che fare) e stai
sentendo dolore, io non posso sostituirmi a te. Non posso dire “fatelo provare
a me il suo dolore”. Così quando incontrerai il tuo fidanzato, non potrò
sostituirmi a quello che tu provi, non potrò dire “fate provare a me la sua
felicità, il suo piacere”. Se non ti basta, quando sta per morire un tuo caro,
pur con tutto l’amore di questo mondo tu non puoi dire “fate morire me”. La
morte come la vita, la gioia, la sofferenza, il dolore, la felicità, riguarda
solo te, non la puoi demandare ad altri, è una cosa solo tua.
Come
vedi c’è una INCOMUNICABILITA’ propria del soggetto umano.
-
Pur volendo non posso - Questa incomunicabilità è il segno che esiste la
persona umana. La persona, quindi, è l’essere in sé e per sé, è ciò che fonda
l’individuo, ciò che sta “sotto” il soggetto, ciò che fa sì che Domenico sia
Domenico e Lorenza sia Lorenza e nessun’altra. Che cosa è l’uomo? Tutto quello
che abbiamo detto prima (è un singolo, è un soggetto, è uno che può fare e
reagire…), ma soprattutto è persona, cioè è quella sua incomunicabilità che lo
fa distinto uno dall’altro. Ripeto, tutto posso donare, anche la vita che mi
appartiene, ma nessuno potrà mai togliermi il fatto che un giorno io non c’ero
e quello dopo sono apparso nel mondo come un distinto sussistente di natura intellettuale
(ecco la definizione tecnica di persona che ti dovevo). Uno che sussiste in sé
e per sé e che pur, nel suo esser contingente, per esistere e vivere, non
dipende da altro se non da ciò che, come forma sussistente, lo fa uscire dalla
possibilità e lo fa esistere qui ed ora (dipendenza ontologica, non fisica).
“Ho capito!!!” mi dirai. “Allora l’actus essendi, di cui prima, è ciò che dà
origine alla persona?” Brava. L’atto d’essere con cui siamo venuti al mondo è
ciò che ha fatto nascere una nuova persona, fatta di forma sussistente e di
corpo.
Ora,
per cortesia, smettiamola di sostenere che l’embrione non è persona, e
smettiamola pure di dire che è persona solo perché al concepimento Dio ha
infuso in noi l’anima. Vi prego, da ambo le parti, smettetela e studiate!!!
Mi
hai sentito parlare dell’anima nel discorso della persona? Ho difeso la dignità
dell’embrione soltanto sulla base di un criterio filosofico senza scomodare gli
dei. Quando non si è voluto fare ciò, questa filosofia non è stata seguita,
intesa, capita, applicata, ci sono stati 6.000.000 di morti nei campi di
sterminio. Ora, visto che sono un medico ti illustro la dignità dell’embrione
sulla base di un criterio scientifico e poi, dal momento che sono un uomo di
fede, ti parlerò pure dell’anima.
Iniziamo.
Nell’uomo
esistono due tipi di cellule, quelle somatiche e quelle germinali. Le somatiche
hanno 46 cromosomi e formano tutto il nostro corpo dalle unghie dei piedi alla
corteccia frontale. Certo ognuna è diversa dalle altre e svolge la sua funzione
specifica. Tutte hanno però 46 cromosomi. Le cellule germinali, che hanno
invece 23 cromosomi, si trovano solo in una parte del corpo, e precisamente nei
testicoli per il maschio e nell’ovaio per la femmina. Con l’accoppiamento
sessuale può avvenire l’incontro tra lo spermatozoo maschile e l’ovulo
femminile. Questo incontro avviene nel terzo medio della tuba ovarica, a 5 cm circa dall’utero, ed è
qui che accade la fecondazione. L’ovulo fecondato da uno spermatozoo, dopo una
settimana, discende dalla tuba nell’utero che, nel frattempo, sotto la spinta
ormonale si è preparato ad accoglierlo, aumentando lo spessore e la sofficità
della sua mucosa. Una volta giuntovi, esso si annida tra le pieghe di questa
mucosa e inizia ad aggrappasi ad essa, producendo uno speciale tessuto, che in
qualche modo erode lo strato sottomucoso dell’utero e forma vasi in anastomosi
con i vasi uterini: è l’avvio della formazione della placenta. Se la
fecondazione non avviene in quel momento del mese, spermatozoo e ovulo vanno in
deiscenza, la mucosa uterina che si era preparata per l’annidamento si sfalda e
viene espulsa: è il ciclo mestruale che ritma la biologia di ogni donna umana.
Vediamo
ora cosa succede quando lo spermatozoo si incontra con l’ovulo. Lo spermatozoo
perfora la parete dell’ovulo e perde la sua camicia spermatica, un involucro
esterno specie-specifico, che cioè non permette la fecondazione di ovuli di
altre specie (pensa un po’ ad un pistacchio sgusciato). Ciò che entra nel citoplasma
dell’ovulo si chiama pronucleo maschile. Per darti l’idea delle dimensioni in
scala, pensa al pronucleo maschile come ad una capocchia di spillo e all’ovulo
come ad una palla da tennis. Le dimensioni reali sono dell’ordine del
milionesimo di millimetro. Intorno, il silenzio. Solo silenzio. Lo stesso
dell’origine dell’universo. Dopo una navigazione citoplasmatica nell’ovulo, il
pronucleo maschile, contenente i 23 cromosomi, se non intervengano ostacoli, si
impatta con il nucleo dell’ovulo anch’esso contenente 23 cromosomi.
A
questo stadio la membrana del nucleo dell’ovulo si è già dissolta in seguito ad
un messaggio biochimico, che le è pervenuto dalla dissoluzione della camicia
spermatica (il guscio del pistacchio ricordi?). Ciò che si è venuto a formare è
come un openspace, direbbero gli
architetti. Una casa cioè senza pareti divisorie, tramezzi, e quant’altro possa
ridurre lo spazio.
E
inizia il bello.
Per
dirtelo, prima però ti devo dire come è fatto un cromosoma. Anche qui
semplicità e messaggio intuitivo, sennò non ce ne usciamo. Allora, prendi un
pezzo di filo di cotone, diciamo, di 5cm e ripiegalo su se stesso più volte.
Arrotolalo fra indice e pollice. Ripiegalo e arrotolalo più volte fino a quando
non sarà una piccola matassa di mezzo cm. A questo punto piega la matassa a U e
posala.
Ripeti
l’operazione con un altro pezzo di filo, ma questa volta di 10cm, fino a che
avrai ottenuto una U più lunga. Sovrapponi le due U per i vertici e avrai
ottenuto una specie di X tutta storta, cioè un cromosoma con quattro bracci.
Due corti (i pezzi della U fatta con il filo di 5cm) e due lunghi (i pezzi
della U fatti con il filo di 10cm). Diciamo pure una specie di X tutta storta,
fatta di cotone, della dimensione di un cm o meno, in cui sono raccolti circa
15cm di cotone. Questo è importante per farti capire che se andiamo alle
dimensioni reali, avremo che un cromosoma misura circa 800 miliardesimi di
millimetro e srotolato, come il filo di cotone, il suo DNA (un acido del nucleo
della cellula umana) avrebbe una lunghezza di circa 150metri. Se consideri che
il filamento di DNA a sua volta è fatto da una doppia catena nucleotidica (i
cui segmenti si chiamano geni), ti renderai conto della quantità di
informazioni che un singolo braccio può veicolare. Chiaramente i cromosomi,
come degli archivi del maschile e del femminile, se maschili portano l’informazione
genetica paterna, se femminili la materna.
Ritorniamo
all’openspace.
Questi
23+23 cromosomi si dispongono sul piano equatoriale della cellula uovo, al centro
dell’openspace e in qualche modo si mettono uno a fianco all’altro in un’
‘unica fila’, un po’ come due squadre di calcio con i giocatori disposti in una
sola fila a centrocampo .
Ora
devi sapere che, in quest’openspace, è vero che non ci sono muri, ma ci sono
tiranti, detti filamenti citoplasmatici.
Questi,
sempre per un discorso biochimico, che non sto qui a spiegarti, ancorano i
cromosomi e se li tirano A CASO (una specie di lotteria genetica) ai due poli
della cellula: polo nord e polo sud, poi li riportano al centro in modo
perfettamente geometrico tale che i bracci corti dei 23 cromosomi paterni si
affiancano ai bracci corti dei 23 cromosomi materni e lo stesso accade pure per
i bracci lunghi. A questo punto devi pensare quarantasei X tutte sbilenche
messe una a fianco all’altra più o meno così
X X
X X X X X X X X X X X X X X X X X X X…
m p m p m p m p m p m p m p m p m p m p m…
m =
cromosoma di origine materna
p =
cromosoma di origine paterna
ciò
che avviene adesso è quello che si chiama crossing-over, un fenomeno biologico
che serve ad aumentare la variabilità genetica,
croce
degli studenti di biologia che proprio su questo vengono spesso bocciati.
Vediamo.
Io, padre, ho i miei 23 cromosomi, nei quali veicolo sempre la stessa
informazione genetica. Tutti i miei spermatozoi portano sempre gli stessi
caratteri, gli stesi geni. Se ho i capelli neri, il carattere fenotipico nero sarà
presente in tutti i miei miliardi di spermatozoi . Lo steso vale per la mamma.
Tutti gli ovociti che produrrà nei 45 -50 cicli ovulatori della sua vita
avranno il gene che codificherà per il carattere fenotipico biondo, se è bionda,
o nero se è nera, o rosso se è rossa. Se unisco i mie 23 ai suoi 23, ottengo un
46 che è portatore di caratteri comuni. Diciamo un bimbo dai capelli neri, ma
con i colpi di sole per intenderci, ma non è così, non è cosi. È più complesso.
Bene. Alla seconda gravidanza, io ottengo la copia esatta del primo figlio
perché i 23 materni sono sempre gli stessi, i 23 paterni pure e, quindi, se faccio
quattro figli, li avrò, per quanto riguarda il tratto fenotipico colore dei
capelli, tutti uguali. Tutti neri con i colpi di sole. Come mai siamo tutti
diversi? Per il crossing-over.
Allora,
abbiamo detto che le braccia corte e le braccia lunghe dei cromosomi sono
affiancate, tutti disposti come soldatini uno accanto all’altro.
Ad
un certo punto si ha uno scambio di segmenti di bracci adiacenti. Segmenti del
braccio corto del cromosoma 3 vanno al posto di segmenti del braccio corto del
cromosoma 4 e quelli del 4 al posto del 3; segmenti del braccio lungo del
cromosoma 21 vanno al posto di segmenti del braccio lungo del cromosoma 20 e
viceversa. Praticamente l’informazione genetica subisce un vero e proprio
rimaneggiamento informatico, che a noi appare casuale, tale che il materiale di
origine non è più riconoscibile come tale. Ipoteticamente, il mio cromosoma 6,
quello che ho dato all’atto della fecondazione non c’è più. Al suo posto c’è un
cromosoma fatto dal braccio lungo del 14 di origine materna, dal braccio lungo
del 23 di origine mia, e ad esempio dal braccio corto del 13, sempre di mia
origine, e dal braccio corto del 14 di origine materna.
Perciò
quando Renato Zero, che io stimo tanto per i suoi testi, canta nella canzone
‘il cielo’: “gli spermatozoi l’unica forza è tutto ciò che hai”, gli dobbiamo
dire : ”quante arie”, e ricordare che non è così, perché tutto ciò che ho non è
che solo l’inizio, un mazzo di carte che io consegno alla variabilità genetica
che, dopo averle mescolate, me le restituisce.
Mi
piace qui ricordare che, se per un infinitesimo di miliardesimo di millimetro,
questo processo si blocca, al posto della sostituzione dei bracci, posso avere
la delezione di un braccio, cioè la perdita ad esempio del braccio corto del
cromosoma 5, che dà luogo alla sindrome del cri du chat, o pianto del gatto (il
bambino quando piange, somiglia a un gatto che miagola), o alla presenza di un
braccio soprannumerario, come nel caso della trisomia 21 o sindrome di Down, o
mongolismo, con i risvolti clinici che tutti conoscono. Non vedo cosa c’entra
Dio in queste disgrazie. O dobbiamo pensare che Dio sovraintenda a ogni
crossing-over cromosomico che in questo momento avviene sulla Terra? Non che
ciò avvenga e Lui non ne sappia niente, intendiamoci; ma credo che il
padreterno sia più l’avviatore del processo che non il controllore delle
funzioni dettagliate. Mi piace pensarlo come l’inventore dell’orologio, non il
grande orologiaio che mette a posto le viti allentate.
Ma
torniamo a noi.
Dopo
il crossing-over, il materiale genetico è sufficientemente rimaneggiato per
procedere oltre. Te li ricordi quei tiranti che ti ho detto prima? Quelli che
stavano nell’openspace? Questi tiranti ora sembrano distendersi di nuovo ed
essere pronti ad un altro esercizio da circo equestre. Sul piano equatoriale,
abbiamo detto, sono presenti, ora, 46 cromosomi, diversi sia dai 46 materni sia
dai 46 paterni. Quello che capita adesso si chiama processo di mitosi cellulare,
in altri termini la cellula si divide in due cellule, ognuna con 46 cromosomi.
Già, ma come si fa se io ne ho soltanto 46 disposti sul piano dell’equatore?
Semplice. Bisogna moltiplicarli per due. Farne cioè una copia di ognuno da
ognuno. Un po’ come quando andiamo dal ferramenta e facciamo duplicare una chiave.
Il processo, infatti, si chiama duplicazione del materiale genetico e per
questo ti rimando all’ appendice di questo mio scritto e a testi specifici.
Mano
a mano che i cromosomi si duplicano, i filamenti citoplasmatici li portano
verso i due poli, nord e sud, dell’openspace, “ ecco una copia dell’uno al polo
nord”, “è pronta la copia del 7? “ Il polo sud attende ancora la copia del 14” , sembrano dire immaginari
camerieri e tutto questo fino a che il piano equatoriale è libero e nei
rispettivi poli sono presenti 46 cromosomi rimaneggiati dal crossing-over.
A
questo punto viene l’architetto e dice che quell’openspace non va più bene. È
meglio costruire una parete divisoria e farne due stanze indipendenti. La
cellula si segmenta, si divide. Ah se conoscessimo questo architetto! Ah se
sapessimo che cosa fa sì che una cellula di divida. Avremmo scoperto il perché
del cancro e lo avremmo sconfitto per sempre. Gli studi attuali sembrano
indicare, in un alterato rapporto nucleo-citoplasma, il messaggio biochimico
iniziale per l’avvio della mitosi. Se ti piace approfondire l’argomento, làureati
in biologia molecolare e saprai certamente meglio.
Il
piano equatoriale, teatro di tutto quello che abbiamo visto fin ora, adesso è
deserto e vede la membrana cellulare dell’ovocita avvicinarsi sempre più da est
e da ovest, in una sorta di invaginazione strozzante che, da una sfera, ne fa
due. Da una sola cellula se ne sono formate due. A questo stadio si attivano
organuli citoplasmatici, che non ho fin ora menzionato e che prendono il nome
di organizzatori nucleo lari, responsabili della formazione di una membrana che
riveste i cromosomi polari, 46 al nord e 46 al sud, chiudendoli in quel che si
chiama nucleo e delineando così sempre più perfettamente la tipologia cellulare.
Due
cellule. A questo stadio il prodotto del concepimento è già una terza entità.
Non ha nulla di identico al padre pur avendo ricevuto da lui una metà dei suoi
caratteri genetici. Non ha nulla di identico alla madre pur avendo ricevuto
anche da essa una metà dei suoi caratteri genetici. Gruppo sanguigno: diverso
dalla madre, sistema immunitario: diverso dalla madre, colore dei capelli:
diverso dalla madre, colore degli occhi: diverso dalla madre. Ma che cosa è un
marziano? No! E’ quella che, se nasce, sarà tua figlia. Un nuovo actus essendi
comunicato a quella biologia, una nuova persona che appare e si manifesta
progressivamente nel tempo, un accadere, una creatura nata dal silenzio
abissale, dal silenzio cosmico che ha avvolto il suo primo atto d’essere e che
raggruma le dimensioni infinitesimali della materia, preordinata a costituirsi
obbediente a quel Volere e a quell’Intelletto che l’hanno istruita ad esser
vita. La nostra vita !
Mi
piace qui ricordare che questo processo è comune a tutti gli essenti vitali
presenti sul pianeta e che, quindi, non possiamo parlare di linea evolutiva
della mitosi. Tutti gli animali, (ragni, insetti, moscerini, topi, leoni, cani,
gatti, pesci, giraffe, elefanti…. uomo) le piante, (angiosperme, gimnosperme,
monocotiledoni, dicotiledoni, conifere, alghe, tuberi, legumi, fiori, muschi,
funghi), i batteri (gram+, gram-, saprofiti, commensali, patogeni, non
patogeni), tutte le diverse forme viventi si moltiplicano e crescono così (e
Dio disse, secondo la sapienza biblica: crescete e moltiplicatevi). Certo, in
ognuna delle classi ci sono delle varianti (un fiore non si moltiplica con
l’amplesso sessuale, ma grazie all’impollinazione da parte del vento o degli
insetti). Nei batteri manca la fase della fecondazione e si riproducono per
semplice scissione e duplicazione del materiale genetico e, ancora, ci sono
specie che hanno un numero diverso di cromosomi e, quindi, quei famosi tiranti
porteranno ai poli una quantità diversa di cromatina, ma sostanzialmente il
progetto è simile per tutti, tranne che per i virus i quali, per moltiplicarsi,
hanno bisogno di infettare la cellula destinata per questo a morire.
Bene.
Un piano uguale per tutti, ma con prodotti e risultati non uguali. Uno
scarafaggio non è una rosa, un topo non è una gallina, una pecora non è un
uomo. E allora cosa ci differenzia l’uno dall’altro?
Ci
differenzia quel famoso filo di cotone arrotolato a mo’ di X tutta sgangherata.
Quel filo (filamento a doppia elica di acido desossiribonucleotidico = DNA) è
fatto di geni , cioè dei piccoli tronconi di filo, che fanno sì che si formino
(codifichino) certe proteine e non altre, in modo che la mia pelle contenga più
elastina e sia più liscia ed elastica della pelle ruvida , dura, e coriacea di
un rinoceronte. Nell’ambito poi della stessa specie, l’aumento della
variabilità genetica porta alcune ad avere la pelle lucidissima di Claudia
Schiffer e ad altri una pelle meno elastica e più cheratinizzata come la mia.
Quindi fra me e una capra c’è solo una differenza qualitativa?
Se
ti piace pensarla in termini evoluzionistici ortodossi, devo risponderti di sì.
Tra te e la scimmia, non c’è nessuna differenza se non il fatto che il suo
corpo ha più peli, che cammina anche su quattro zampe, che non avendo
sviluppata una particolare area cerebrale prefrontale, l’area celebrale di
Broca, non è in grado di articolare la parola, e per lo sviluppo mancato di
un’altra area, questa volta temporo-occipitale (area di Werniche), non è in
grado di capire il linguaggio con
l’estensione di vocaboli e frasi che sviluppiamo noi, ed eseguire ordini
semplici.
Per
il resto, cuore, polmoni, fegato, reni, intestino, testicoli, ovaio, tutto è
uguale a noi, tutto funziona allo steso modo, ferma restando la differenza
d’organo specifica: il cuore di una scimmia non è perfettamente uguale al cuore
di un uomo, così come il cambio di una Fiat 500 non è lo stesso di una fiat 500
Abart (attacchi diversi, fori diversi) eppure sostanzialmente simile e
certamente diverso dal cambio di un carro armato.
Ora
devi sapere che c’è stata, negli ultimi anni, una vera e propria rivoluzione
scientifica. Nel tentativo di capire sempre più a fondo la natura dell’uomo,
due grandi branche scientifiche, due grandi filoni si sono gemellati e sono:
l’evoluzionismo e le neuroscienze.
L’evoluzionismo
sostiene che la vita è frutto del caos. Cioè tutto quello che ti ho detto
prima, cromosomi, dna, filamenti citoplasmatici, membrana cellulare,
organizzatori nucleolari, si sarebbero formati per pura combinazione, per puro
caso e si sarebbero messi a funzionare, così, da soli, senza un preciso ordine,
senza un principio ordinatore, senza uno schema prestabilito, trovando lo
schema solo in un secondo momento, per adattamento ed errori, come frutto
dell’assemblarsi casuale e probabilistico delle molecole. Come se, per scrivere
questo libro, io abbia preso, che so, diciamo, un sacchetto pieno di lettere e
le abbia mescolate per bene. Una volta buttate per terra, poi, esse si
sarebbero trovate tutte vicine, con gli spazi al posto giusto, le virgole al
posto giusto, i punti esclamativi al posto giusto sì da formare frasi di senso
compiuto. Ciò non è uno schiaffo all’idea di perfezione (come volevano
sostenere certuni), è solo una immensa stronzata! E ce la fanno pure studiare!
Ma su questo io lascio decidere a te se quello che ho cercato di comunicarti è
frutto di un disegno prestabilito o, invece, è solo pura combinazione. Questi
filosofi, questi biologi , credimi, non hanno mai messo l’occhio in un
microscopio e osservato in diretta ciò che avviene quando si forma una vita. Se
poi ce l’hanno messo, allora essi fanno di tutto per negare questo disegno
prestabilito perché, se così fosse, ne dovrebbero arguire la presenza di una
Mente intelligente alle origini, di un Ordinatore cosmico, di un Creatore che a
loro dà fastidio, perché sono come “scribi e farisei”, ipocriti che scolano il
moscerino e ingoiano il cammello. “Invitati non entraste e non permetteste ad
altri di entrare”. Fa’, o Signore che io non mi insuperbisca nei progressi
della scienza e della tecno scienza, ma sempre e dovunque, attraverso le
vestigia di questo mondo, riscopra la tua opera che avviene in segreto, e ti
dia lode. Ancora una cosa sull’evoluzionismo. Non c’è dubbio che la natura
abbia in sé una tendenza pulsionale verso una forma sempre più adattata e
meglio rispondente alle esigenze ambientali. Questo nessuno lo nega. Ciò che
appare assurdo è quell’-ismo che vorrebbe spiegare il tutto alla luce dell’evoluzione.
Quindi evoluzioni Sì (e aggiungo solo se verificate scientificamente e cum
grano salis), evoluzionismo NO. Riprendiamo il paradosso delle lettere che
getto a caso e che, cadute a terra, darebbero frasi di senso compiute. Bisogna
dire che dal momento che si accorgono dell’errore, alcuni sostengono che però,
prova che ti riprova, alla fine il risultato si ha. È il famoso ritornello “nel
corso dell’evoluzione”, espressione dogmatica e non scientifica, per spiegare
ciò che a forza si vuol far credere, perché probabilmente così si è pre-deciso.
È vero, da uno studio statistico, fatto in America negli anni ’90, si è potuto
accertare che la probabilità di un tale evento esiste ed è reale* e, per una
proteina come l’albumina, è di 10 elevato alla 321, cioè 1 seguito da 321 zeri,
ovverossia circa 10 alla 252 anni. Ti rammento che l’età della terra , a partire
dal suo raffreddamento, è di 10 alla 9 anni e, quindi, domandiamoci se questa
possibilità sia plausibile. In poche parole, perché tutto questo accada, ci
vorrebbero più di cento milioni di miliardi di anni, che è più dell’età effettivamente
calcolata dell’universo, che ha solo 5 miliardi di anni. Palle filosofiche,
palle scientifiche e palle teologiche, perché non si vuol conoscere la Verità. Tu , mio tesoro,
va per la tua strada, ragiona con la tua testa e non farti infinocchiare da
loro e vedrai, per sognare, poi qualcosa arriverà. Ancora l’ultima cosa a
proposito delle mutazioni e poi non ti scoccio più con l’evoluzionismo. Quando
ero in Russia al Vavilov Institute, presso l’Accademia delle Scienze, con una
borsa di studio in genetica molecolare, lavoravamo molto con le radiazioni X,
per capire che tipo di danno fisico essi arrecano al DNA dei neuroni cerebrali
e quali meccanismi di riparazione la cellula possiede per far fronte a tal
evenienza. Devi sapere, infatti, che la cellula possiede dei meccanismi di
difesa che permettono la riparazione dei danni. Il DNA possiede svariati enzimi
che tagliano i geni danneggiati copiano dal filamento di DNA sano il gene nuovo
e lo re-incollano
*A.
DAUVILLEIER, l’origine fotochimica della vita, Feltrinelli, Milano 1982, pp.
188-189.
al
filamento che è stato danneggiato. Queste
molecole enzimatiche si chiamano DNA-ligasi, DNA-polimerasi e altre ancora e
tutte vanno sotto il nome di meccanismo del DNA repair. Questo complesso
enzimatico è il responsabile di quel fenomeno che prende il nome di plasticità
biologica. In altri termini, la natura tutta è in qualche modo capace di
assorbire i colpi, si oppone al cambiamento, alla distruzione a meno che tu non
superi questa soglia di tolleranza e vai con il fucile o con il macete.
Torniamo in Russia. Quello che mi sorprese fu che, oltre un certo limite, non
esiste una soglia mutagena benigna, cioè qualsiasi alterazione nel DNA porta
solo a danno. È come se entrassi in una stanza perfettamente ordinata.
Qualsiasi oggetto tocco e sposto in base ad un altro disegno, mette disordine,
altera qualcosa.
Nella
doppia elica, in altri termini, non posso cambiare nulla, altrimenti faccio
danno. Se ammettiamo che un tempo non era così, se decidiamo di dire che l’uomo
si è formato attraverso mutazioni spontanee, che hanno favorito la selezione
naturale e la sopravvivenza della specie, allora dobbiamo anche porci la
domanda: dove erano i meccanismi riparatori del DNA? esistevano ? E se sì,
perché non hanno funzionato? Cosa ha eluso, all’epoca, la loro sorveglianza e
cosa, oggi, non ci permette modifiche favorevoli del DNA? Questi meccanismi
riparatori sono come un sigillo, una password che non permette più la modifica
strutturale del DNA.
Non
c’è più spazio per mutazioni favorevoli e questo lo sanno bene i genetisti
medici, che cercano varianti alleliche nella terapia genica per la produzione
di insulina in chi, per un difetto genetico, non ne produce.
Vuoi
un caso di mutazione favorevole che ha adattato la specie alla Darwin-maniera?
L’anemia falciforme. In questa patologia (e sottolineo patologia) si ha una
mutazione dell’emoglobina, in conseguenza della quale i globuli rossi assumono
l’aspetto di una falce, anziché quello fisiologico di una sfera biconcava.
Bene, questi soggetti sono resistenti alla malaria, malattia infettiva dovuta
alla puntura di una zanzara del genere anopheles, che inocula un batterio di
nome plasmodio, che si moltiplica nel globulo rosso, lo distrugge e porta ad
anemia e morte del soggetto. Come vedi, tutto ciò è senz’altro favorevole, ma
devo dirti pure che i soggetti con anemia falciforme hanno bisogno di continue
trasfusioni di sangue fresco, i bambini affetti spesso non raggiungono la
maturità sessuale, e vi sono terribili danni epatici, pancreatici e renali
dovuti al ferro in eccesso che si accumula nei tessuti in seguito alle continue
trasfusioni. Eppure tu in vari testi sentirai dire che l’anemia falciforme è un
tentativo (ben riuscito!) di adattamento evolutivo in quei popoli che
convivevano da anni con la malaria: Sardegna, ad esempio.
È
finita l’evoluzione?L’evoluzione ci ha portato fino all’uomo e si è arrestata?
L’uomo è l’ultimo gradino dell’evoluzione? E la forma più perfetta di questo
livello, per caso, si chiama super-uomo? …Meditate gente meditate !
L’altro
filone che, pur con tanti meriti scientifici, ha contribuito non poco a dare
una falsata idea filosofica dell’uomo sono le neuroscienze.
Quando,
come neurochirurgo, operavo al cervello presso la Clinica chirurgica della
Facoltà di Medicina, non potevo fare a meno di vedere clinicamente che danni
ischemici, tumorali, traumatici o emorragici in alcune aree nobili provocavano
sintomo di carenza di funzione, a cui quelle aree erano associate. Così, un
tumore che distrugge il piede della terza circonvoluzione prefrontale, area
rolandica, porta all’afasia motoria di Broca. Il paziente vorrebbe dirti ciao,
ma non c’e la fa motoriamente. La sua lingua, la sua bocca, le sue corde vocali
emettono un suono spesso gutturale e impiastricciato, che a tutto corrisponde
tranne che a un ciao. Questo suono ritorna nell’orecchio del paziente, va
all’area uditiva, e da qui alle aree del controllo della stato di vigilanza che
avvertono che il suono è uscito male, e lui ci riprova, ci ritenta , si
arrabbia, si innervosisce nel tentativo di emettere la parola ciao in modo
corretto.
Se
invece la lesione è a livello temporoparietale, area di Werniche, non c’è
agitazione e nervosismo, perché il paziente non capisce proprio le parole, tu
gli dici ciao, ma è per lui come se avessi detto una parola in arabo o in
russo. Ti guarda perplesso e ti dice un’altra cosa che ha in mente, ma non
risponde al tuo ciao.
Ora
gli esempi potrebbero continuare e scriverei un libro di neurologia. Va bene,
siccome so che sei curiosa, brevemente ti dirò che la corteccia occipitale
(dietro la testa) è l’area visiva. Se la danneggi, avrai una cecità di tipo
centrale (cervello) e non periferica (occhi). Se sei violento e ti tolgo
chirurgicamente il lobo frontale, ti riduco come un agnellino. Se senti puzza
di gas ad ogni pié sospinto, hai una epilessia temporale, se avverti immagini
sdoppiate hai una lesione chiasmatica alla base del cranio, se dici di vedere
la madonna non è un problema mio, ma psichiatrico.
Insomma,
sembra che ogni cosa che facciamo, diciamo, ascoltiamo, pensiamo, abbia una sua
area cerebrale corrispondente. Ed è proprio così. Lo dimostrano esperimenti
scientifici di alto livello, non ultimo l’uso della Tomografia a Emissioni di
Positroni (PET) che addirittura colora il metabolismo delle aree cerebrali
impegnate in quel momento.
Di
conseguenza, l’uomo è il suo cervello! Giusto?
E io
ti dico di no, e ti invito a cercare oltre e altrove, come il gabbiano di
Montale.
Vediamo.
Stamattina
è proprio una bellissima giornata d’estate. Quelle con un cielo terso un sole
vivo, vivido, e brillante in un modo inusitato.
Ho
aperto gli scuri della finestra e la luce si è diffusa nella mia cabina e sul
mio scrittoio. In controluce potevo distinguere il pulviscolo atmosferico,
sottili e impalpabili granelli di polvere che mi richiamavano a questa vita un
po’ disordinata che conduco.
L’errore
che commettono epistemologicamente le neuroscienze è quello di confondere il
concetto di causa con quello di condizione. La causa della luce è
la presenza del sole, la sua attività di fornace nucleare, la sua brillanza
cosmica che si esaurirà, dicono gli astronomi, tra 5 miliardi di anni. Un tempo
che non osiamo pensare. La condizione affinché quella luce entri nella mia
stanza sono gli scuri aperti. Se chiudo gli scuri, la luce non entra, ma ciò
non significa che il sole abbia smesso di brillare. E così vale per il
cervello. Quelle aree sono la condizione affinché io mi esprima ma non sono
l’espressione. Per pensare ho bisogno della integrità della corteccia frontale,
ma questo non significa che la corteccia frontale pensi. Senza neuroni io non
penso, ma ciò non vuol dire che i neuroni pensano. Se spacco i neuroni, dentro
non trovo i pensieri. Questi non sono il prodotto dei neuroni, come la bile è
il prodotto delle cellule del fegato. Io non penso le idee, ma tramite le idee,
che mi formo scrutando la realtà sensibile e astraendo da essa i concetti.
Allora, cari neuroscienziati, (tra i quali, in piccolo, anche io che ho
all’attivo 14 pubblicazioni a livello internazionale tra le quali una
sull’utilizzo, nel trapianto, di isole cerebrali nel ratto, del nerve grow
factor scoperto dalla Rita Levi Montalcini e che per questo ha avuto
meritatamente il premio Nobel) non confondete ciò che è causa con ciò che è
condizione, perché alla fine questo discorso diventa pericolosissimo.
Pensa
al Signor Mario Rossi, che giace in un letto di rianimazione in uno stato di
coma vigile. I casi della cronaca sono molto esaustivi su questo.
Mario
ha perso la capacità relazionale, ha perso la capacità sensoriale, ha perso la
capacità cognitiva, ha perso la capacità sensitivo-motoria e non parliamo della
capacità degli sfinteri, di quella della deglutizione, della fonazione, della
auditiva e di quant’altro occorra a un essere umano per essere completo
nell’ambito delle perfezioni che gli sono dovute per natura (questa frase è
importante e ricordala).
Chi
mi potrà dire che questo Mario non è più Mario? Chi, dimmi, potrà affermare che
questo Mario non è più un uomo? E che cosa è? Un asino? Un coccodrillo? Un
cavolfiore? Mario non è più quel Mario che conoscevo, con il quale
chiacchieravo, ma non è che non è più uomo e quindi vada eliminato prima della
sua fine naturale (ricorda questa frase). Spesso sento dire, a qualche funerale
dove è morta una bimba, “è diventata un angelo”. NOOOOO.!!!! Noi non potremo
mai essere angeli, come non possiamo mai svegliarci domattina nelle sembianze
di un asino (tranne che nelle fantasie letterarie). Gli angeli sono angeli e,
lasciamoli stare. E pure gli animali sono animali non umani, e lasciamoli
stare. Noi siamo umani e come umani dobbiamo essere e finire di essere con
tutta la dignità di questo mondo. Con questo voglio metterti in guardia dalla
più crassa ignoranza riguardo al concetto di uomo vigente e non smetto mai di
scandalizzarmi quando penso che certi preti non dicono niente in merito.
Nessuno di loro ha mai detto: “signori è morta una bambina”, ma semmai, “è
tornata alla casa del padre” (e che è?), “Accogli la sua anima” (come se
esistessero anime svolazzanti). Sono favole, sono balle. Perciò, cari sacerdoti,
ci avete fatto perdere la fede, perché non ce la facciamo più a credere a
simili fandonie e bada bene, in ambito ecclesiastico, sanno benissimo come
stanno le cose. Se interroghi in privato uno di loro, te la dice la verità, ma
al funerale per un atteggiamento pietistico popolare e per uno spiritualume da
quattro soldi, devono far finta di niente… e va bene così.
Concedimi
una piccola parentesi circa il ruolo dei pastori. Giuro che poi non ti faccio
più prediche, ma è più forte di me perché l’ipocrisia, la falsità, la vergogna,
non la sopporto. Ti riporto un passo della Bibbia e una predica che fece
Sant’Agostino circa il ruolo che hanno i preti nella società. Leggila, nella
traduzione italiana della Bibbia di Gerusalemme . Io non la commenterò. Primo
perché non ho nulla da aggiungere all’eloquenza retorica di un Agostino,
secondo perché, trattandosi di argomenti apologetici (cioè di difesa a spada
tratta della fede cristiana), non è una cosa che mi riguarda da vicino.
Dal libro del profeta Ezechiele 34, 1-6.
11-16. 23-31
Mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Figlio dell'uomo, profetizza contro i pastori d'Israele, predici e riferisci
ai pastori: Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d'Israele, che pascono se
stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte,
vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il
gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le
inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non
siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e
violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie
selvatiche: sono sbandate. Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese
e nessuno va in cerca di loro e se ne cura. Perché dice il Signore Dio: Ecco,
io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in
rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state
disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i
luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le ritirerò dai
popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le
farò pascolare sui monti d'Israele, nelle valli e in tutte le praterie della
regione. Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti
d'Israele; là riposeranno in un buon ovile e avranno rigogliosi pascoli sui monti
d'Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare.
Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò
all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò
cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia. Susciterò per loro
un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà
il loro pastore; io, il Signore, sarò il loro Dio, e Davide mio servo sarà
principe in mezzo a loro: io, il Signore, ho parlato. Stringerò con esse
un'alleanza di pace e farò sparire dal paese le bestie nocive, cosicché
potranno dimorare tranquille anche nel deserto e riposare nelle selve. Farò di
loro e delle regioni attorno al mio colle una benedizione: manderò la pioggia a
tempo opportuno e sarà pioggia di benedizione. Gli alberi del campo daranno i
loro frutti e la terra i suoi prodotti; essi abiteranno in piena sicurezza
nella loro terra. Sapranno che io sono il Signore, quando avrò spezzato le
spranghe del loro giogo e li avrò liberati dalle mani di coloro che li
tiranneggiano. Non saranno più preda delle genti, né li divoreranno le fiere
selvatiche, ma saranno al sicuro e nessuno li spaventerà. Farò germogliare per
loro una florida vegetazione; non saranno più consumati dalla fame nel paese e
non soffriranno più il disprezzo delle genti. Sapranno che io, il Signore, sono
il loro Dio e loro, la gente d'Israele, sono il mio popolo. Parola del Signore
Dio. Voi, mie pecore, siete il gregge del mio pascolo e io sono il vostro Dio».
Oracolo del Signore Dio.
Dal «Discorso sui pastori» di sant'Agostino,
vescovo.
«E non avete riportato le disperse, non siete
andati in cerca delle smarrite» (Ez. 34, 4). Da questo momento ci troviamo come
tra le mani di ladri e le zanne di lupi furiosi e per questi pericoli vi
domandiamo preghiere. Per di più anche le pecore non sono docili. Se noi
andiamo in cerca di loro quando si smarriscono, dicono, per loro errore e per
loro rovina, che non ci appartengono. Perché ci desiderate, esse dicono, perché
venite in cerca di noi? Come se il motivo per cui le desideriamo e le cerchiamo
non sia proprio questo, proprio il fatto cioè che sono smarrite e si perdono.
Se sono nell'errore, dicono, se sono vicino a morte, perché mi desideri? Perché
mi cerchi? Rispondo: Perché sei nell'errore, voglio richiamarti; perché ti sei
smarrito, voglio ritrovarti. Replicano: Voglio smarrirmi così, voglio perdermi
così. Così vuoi smarrirti, così vuoi perderti? Ma io con tanta maggior forza
non voglio questo. Te lo dico chiaramente: Voglio essere importuno. Poiché mi
risuonano alla mente le parole dell'Apostolo che dice: «Annunzia la parola,
insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna» (2 Tm 4, 2). Per chi a
tempo opportuno e per chi a tempo non opportuno? Certamente a tempo opportuno,
per chi vuole; a tempo inopportuno, per chi non vuole. Sono proprio importuno e
oso dirtelo: Tu vuoi smarrirti, tu vuoi perderti, io invece non lo voglio. Alla
fin fine non lo vuole colui che mi incute timore. Qualora io lo volessi, ecco
che cosa mi direbbe, ecco quale rimprovero mi rivolgerebbe: «Non avete
riportato le disperse, non siete andati in cerca delle smarrite». Devo forse
avere più timore di te che di lui? «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al
tribunale di Cristo» .
Riporterò quindi la pecora dispersa, andrò in
cerca di quella smarrita; che tu voglia o no, lo farò. Anche se nella mia
ricerca sarò lacerato dai rovi della selva, mi caccerò nei luoghi più stretti,
cercherò per tutte le siepi, percorrerò ogni luogo, finché mi sosterranno
quelle forze che il timore di Dio mi infonde. Riporterò la pecora dispersa,
andrò in cerca di quella smarrita. Se non vuoi il fastidio di dovermi
sopportare, non sperderti, non smarrirti. È troppo poco se io mi contento di
affliggermi nel vederti smarrita o sperduta. Temo che, trascurando te, abbia ad
uccidere anche chi è forte. Senti infatti che cosa viene dopo: E le pecore
grasse le avete ammazzate Se trascurerò la pecora smarrita, la pecora che si
perde, anche quella che è forte si sentirà trascinata ad andar vagando e a
perdersi.
Bellissimo!!!
Viva la chiarezza. Viva le ‘idee chiare e distinte’ (grande Cartesio) che
dovrebbero essere l’unica prerogativa degli uomini di fede e di scienza.
L’anima
Mi
pare di averti promesso che ti avrei parlato dell’anima.
Sentirai,
mio tesoro, dire in giro: “Credi davvero all’esistenza dell’anima? Ah, povera
scema!!”
Vediamo
di capirci.
Come
credo di averti precedentemente fatto capire, l’uomo, come essente, è un
composto di materia e forma. I greci lo chiamavano sinolo, cioè unità di due
co-principi: un principio materiale e un principio formale. Ognuno non può fare
a meno dell’altro Il principio materiale è ciò che costituisce il tuo corpo e,
sempre i greci, la chiamavano hyle; il principio formale altro non è che la
forma del tuo corpo: morphè (attenzione, ti ripeto, non intendere qui per forma
il fatto che sei bella, alta, grassa, magra. La forma non riguarda ciò. Te l’ho
già detto). La forma riguarda l’essenza, cioè la tua forma, la tua essenza, è
quella di un essere umano, di un esponente individuale della natura umana: una
testa, due braccia, due gambe, due mani, due occhi ma un solo naso, una sola
bocca, una sola farfallina, un solo culetto, ah ah ah.
Tu
non sei un albero, né una tigre. Queste forme non ti appartengono. Ti distingui
da esse e ti distingui non solo per questa forma, ma anche per il fatto che
coloro che hanno una forma simile (cioè gli altri esseri umani), hanno anche
altre facoltà (o potenzialità), che chiameremo intelletto e volontà: un piano
di sviluppo comune per tutti gli uomini. Non dirmi che sono prodotti del
cervello, perché ti ho già detto di non confondere il concetto di causa con
quello di effetto. Inoltre, quando parlo di intelletto, non intendo dire
intelligenza esplicita, ma capacità di intelligere,
cioè intus-legere, leggere dentro, penetrare in fondo alla verità delle cose,
ed anche auto trascendersi, una capacità, credo, tipica dell’uomo, visto che
finora nessun orangotango ha composto la nona sinfonia di Beethoven, né
tantomeno un macacus rhesus la Divina Commedia. Inoltre, gli umani come noi sono
capaci di fare il male per il male, il male al solo scopo di fare il male: cioè
il peccato, il niente, la terra bruciata intorno a sé. E d’altronde, ci sono
altri che hanno donato tutto se stessi per il bene, hanno sacrificato in alcuni
casi anche la loro vita per portare un solo bicchiere d’acqua a popoli che non
avevano pozzi, né ruscelli, né fiumi (ti ricordi quando, a 6 anni, scrivesti il
numero a cui telefonare per dare dei soldi a quei bambini dell’Africa, che non
avevano acqua da bere? Dicesti “papà perché non dai 10 euro al mese a questi
bimbi ?). Beh, potrei dire: ecco l’anima. Qui la mente non c’entra. Noi non
siamo dei robot. Non facciamo le cose perché un programmatore ci ha inserito
dentro dei file in base ai quali ci comportiamo. Che interessa alla mente se
quei bambini muoiono di sete o no. Che interessa alla corteccia prefrontale se
nel mondo c’è la sofferenza e il dolore. Ciò che interessa al cuore di un bimbo
è che anche gli altri suoi simili abbiano l’acqua…: “in verità vi dico se non
diverrete come bambini non entrerete nel regno dei cieli (Matteo 19-14).
Allora,
per anima si intende ciò che i filosofi medioevali chiamavano la forma subsistens
corporis, il piano, il progetto, la forma del corpo. Semplice, semplice. Non ti
lambiccare il cervello. L’albero ha la sua forma e ha un’anima vegetativa,
l’animale ha la sua forma e ha un’anima sensitiva, l’uomo ha la sua forma e ha
una anima intellettivo-volitiva, cioè un coprincipio in base al quale è capace
di trascendere la sua materia, di elevarsi al di sopra del suo stato animale
(papà, fa’ in modo che i bimbi assetati abbiano l’acqua) e tutto questo non
deriva dai cromosomi, né da tutto quello che prima ti ho detto. Se sentirai
qualcuno affermare che l’uomo non ha l’anima, tu ridigli in faccia con un riso
filosofico, consideralo un povero ignorante, abbi pena per lui e invitalo a
studiare.
Il
discorso diventa più difficile se parliamo dell’immortalità dell’anima. Il non
aver messo a fuoco bene la questione da parte di tutti ha portato ad un
linguaggio equivoco e fuorviante. Si sono anestetizzate le masse (in questo
Marx aveva ragione) e si è fatto passare per verità di fede ciò che è una
grande fesseria teologica e filosofica.
L’impasto
del pane è fatto di farina e acqua, quando stai per infornarlo chiediti dov’è
l’acqua che hai messo. Non la vedi più, è indistinguibile dal composto, è
dappertutto, è in ogni dove dell’impasto, non è più “ acqua” distinguibile come
tale. Si è detto da sempre che l’uomo è composto di anima e corpo, intendendo
così affermare, non che siamo un sinolo (l’impasto del pane), ma che in qualche
modo siamo posseduti, siamo un contenitore con qualcosa dentro che, alla nostra
morte, sale in cielo. NON ESISTONO ANIME SVOLAZZANTI. Quando si muore si torna
nel silenzio abissale dal quale siamo venuti. Silenzio che appartiene a Dio, è
di Dio (creatore), è divino. Però che fine fanno tutte le relazioni che abbiamo
intessute nel bene in questa vita? E quelle intessute nel male? E pensabile che
se mio padre, prima di morire, ha pronunciato il mio nome e il desiderio di
vedermi, ciò sia andato perso per sempre? Che cosa è la vita? Un film sul non
senso? Oppure tutte queste relazioni, tutto questo bene ha anche una radice
ontologica ed un suo possibile destino sottratto al tempo?
E se
esistesse un enorme calderone dove viene riversato tutto il bene che io, come
actus essendi-esistente, faccio (e quindi ontologicamente fondato) e, viceversa,
un altro con tutto il male e gli inganni che ho perpetrato? Se Dio ci ha creato
con due co-principi, prima o poi ce li dovrà ridare. Nella sua bontà, vedrai,
ce li restituirà e noi ritorneremo a essere un tutt’uno, risorgeremo, perché
non si può perdere ciò che fa, di Domenico, Domenico e ciò che fa, di Lorenza,
Lorenza.
Ora,
secondo me, prima riempiamo questo calderone con il bene e meglio è. Nel primo
capitolo, ho detto che il divino è anteriore e superiore all’umano e ho anche
detto che la gloria di Dio deve venire prima della mia felicità, o, per meglio
dire, che questa deve essere in corrispondenza, in unione con quella. Il lavoro
di glorificazione di Dio termina con la morte e ognuno rimarrà eternamente con
la quantità di meriti in cui sarà trovato al momento del transito. Questa non è
una fesseria, è un fatto che ha una fondazione ontologica. Se mi sono fatto
pane per gli altri, ho fatto del bene; questo rimane, come rimane il fatto che
l’America l’ha scoperta Colombo. Se il 12 ottobre del 1492, alle ore 06.45 local
time, un marinaio gridò dal cassero di poppa “terraaa in vistaaaa”, questa cosa
è un evento, un fatto, un accadere che rimarrà per sempre nella storia
dell’universo. Come la tua nascita o la mia. Non potrai mai dire che l’America
è stata scoperta il 18 novembre o erano le 22.00, né che io sono nato il 30
dicembre e non il 2 maggio. No, quell’evento, quell’azione di bene che compi è
un actus essendi che è esistito nel tempo e nello spazio, è un portare
all’essere ciò che si compie. In altri termini, in questo calderone cosmico
andranno tutte le singole azioni di bene (e di male) che avremo fatto noi.
Anche la più piccola sarà ricordata, perché anche la più piccola è esistita, è
appartenuta all’essere di questo essente umano e personale. “In verità vi dico
chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca in mio nome ad uno
di questi piccoli, non perderà la sua ricompensa” (Matteo10,42).
Quest’uomo
(supponiamo Cristoforo Colombo) ha fatto un’azione che per sua natura è rimasta
nell’essere, come è rimasto nell’essere il tuo desiderio, quel giorno, di dare
dei soldi ai bimbi dell’Africa, o quell’altra che hai fatto disperare mamma con
dei capricci assurdi. E così rimane nell’essere l’opera di una Teresa di
Calcutta, di un Francesco di Assisi, di un Giuseppe Moscati, come rimane nel
tempo il male perpetrato ad Auschwitz. Nessuno dei tedeschi uccisori potrà mai
dire “non l’ho fatto”, mentre un Francesco d’Assisi felice esclamerà: ”non ho
mai ucciso nessuno”. Questa è la
Verità. La verità è ontologica, non logica, è ontologica
prima che logica, anzi è logica perché ontologica. Tutto rimane, non
esiste il piombare nel nulla, perché siamo ontologicamente fondati. Siamo actus
essendi fatto esistere qui ed ora. Ci siamo, esistiamo, facciamo essere nella storia.
E rimarremo, anche oltre la morte.
Ritorniamo
ai meriti (ed ai demeriti).
Queste
opere di bene, queste piccole pepite d’oro che mettiamo in questo calderone,
sono cose che possiamo fare solo da vivi, finché siamo nell’esistere, perché da
morti non facciamo nessuna opera. “Bisogna che io faccia le opere di Colui che
mi ha mandato mentre è giorno perché poi viene la notte nella quale nessuno può
operare” (Giovanni 9-4).
Ora
se siamo nel tempo e facciamo del male, siamo in tempo a riparare questo male,
cioè a togliere quella pepita di cacca, che abbiamo messo nel pentolone, con la
purificazione, la richiesta di perdono, la penitenza, l’espiazione, la
riparazione.
Al
momento del transito, quindi, io avrò accumulato una quantità di meriti e di
demeriti. Tutto dipende da cosa ho fatto in questa vita. Gli antichi Egizi
dicevano che se il cuore del faraone è più pesante di una piuma, non entrava
nella vita eterna.
Se
la glorificazione di Dio cessa all’atto della morte, la purificazione
dell’anima, invece, continua fino al suo compimento supremo. Ciò che si compie
in questo stadio, che la pietà popolare crede, e che i preti sfaticati insegnano
e che va sotto il nome di Purgatorio, è una purificazione spoglia di meriti,
senza aumento di essere, senza altro profitto che la purificazione stessa. Al
contrario di ciò che avviene sulla terra, dove in virtù del fatto che operiamo
nell’essere, ogni purificazione è accompagnata da un aumento di merito. Quindi,
all’uscire di lì, diciamo così, io avrò lo stesso grado di merito di quando vi
sono entrato. “Intenditi con il tuo avversario mentre sei con lui in questo
mondo, prima che egli ti consegni al giudice e questi al carceriere che ti
getterà in prigione. In verità ti dico non ne uscirai finché non avrai pagato
l’ultimo spicciolo” (Matteo5, 25-26).
Adesso
stammi bene a sentire. Tutto il discorso che ti ho fatto sui meriti deve essere
ben capito, altrimenti si rischia di credere che siccome abbiamo fatto i bravi,
allora ci meritiamo la vita eterna. In realtà, non è proprio così. Non è detto
che dal momento che sei stata a messa tutte le domeniche, ti sei detta tutti i
giorni il rosario, non hai mai fatto arrabbiare mamma e papà, allora ti meriti
il paradiso. Te lo sei guadagnato. Il padreterno te lo deve per forza dare. NO.
Il paradiso è un dono che Dio fa al di là dei meriti che possiamo accampare. E
questo per due motivi: primo, essendo un dono Dio lo fa a chi vuole lui; secondo,
dimmi: che meriti possiamo pensare di avere noi che siamo solo portatori
d’acqua, servi inutili? Gli unici meriti che noi possiamo avere sono quelli
meritati da Cristo, unico e vero mediatore tra il Padre e l’umanità. Ma allora
papà, mi dirai, con tutto questo tuo dire, con questa testa di chiacchiere che
mi hai fatto, che cosa mi hai voluto dimostrare?
Niente
a papà, assolutamente niente. Ti ho voluto far intendere che c’è un modo di
vivere che si adegua al contesto e che ti obbliga a fare continui prodigi di
agilità dorsale (gli inchini) , un altro meno conosciuto, ma più fiero, che
custodisce il segreto della onestà intellettuale, della sincerità dell’animo,
della fecondità della mente, della franchezza dei rapporti, della veracità
delle convinzioni. Tutte queste non sono altro che anticamere della Verità
nella quale, te lo giuro, un giorno ci ritroveremo.
P.S. i bambini dell’Africa, poi, hanno avuto i soldi che
desideravi arrivassero.
Appendice
La vita in diretta ovverosia:
la struttura del DNA e la sintesi proteica
In questa appendice provo a tradurre in un linguaggio accessibile
ciò che nei trattati di biochimica, genetica e biologia, é scritto con un
linguaggio per addetti ai lavori.
La mia è solo una esemplificazione atta a far sì che tu abbia
pochi concetti e chiari, che diverranno nel corso dei tuoi studi, “idee chiare
e distinte”, base, questa, di ogni dire scientifico.
Iniziamo.
La cellula umana è l’unità funzionale del corpo. Il nostro corpo è
fatto di cellule. Non ci interessa il numero. Tutte queste cellule derivano da
quelle due che abbiamo visto costituire il prodotto del concepimento. Queste
cellule si chiamano totipotenti. Eravamo rimasti, se ben ricordi, che
l’architetto dice che l’open space non va più bene e decide di fare un
bicamera. In seguito, sempre lo stesso architetto decide di suddividere le due
camere in due, facendo un quattro vani e, poi, ognuno di questi vani ancora in
due, ottenendo un appartamento con otto vani e poi sedici. Abbiamo così una
grande cellula con dentro sedici cellule più piccole. Queste cellule si
chiamano pluripotenti e continuano a dividersi in 32, 64, 128 …, lo stadio di
64 cellule si chiama morula. A questo punto entra in gioco un altro signore,
forse un ingegnere, forse un capo-progettista, non sappiamo ancora chi, che
impone a ciascuna di queste cellule di differenziarsi dalle altre, dando origine
ai vari organi. Tesoro, non si sa come questo avvenga. I cromosomi sono gli
stessi, le cellule sono uguali, ma ognuna di esse si differenzia in modo
diverso. Dalle cellule esterne della corona cellulare, l’ectoderma (sì, perché
essendo molte, e stando tutte in un solo spazio, si sono disposte su tre file)
prende origine il tubo neurale, che in seguito darà origine alla pelle e al
sistema nervoso. Ecco perché molte malattie dermatologiche hanno anche un fondo
neurologico. Dallo stadio più interno, l’endoderma, hanno origine l’intestino,
il fegato, i reni, il pancreas, la milza… e, dallo strato intermedio, il
mesoderma, avranno origine muscoli, cartilagini, tendini, ossa…
Ora, indipendentemente dalla differenziazione cellulare, ogni
cellula contiene gli stessi cromosomi della cellula progenitrice, quella
totipotente che cioè può fare tutto. Infatti, se prendo una di queste cellule e
la metto in mezzo a cellule nervose, diventerà un neurone, se la metto in un
muscolo diverrà un miocita, se nel fegato un’epatocita… Viceversa, se prendo le
pluripotenti, devo prendere solo quelle del tubo neurale se voglio ottenere un
neurone, e solo quelle del mesoderma se voglio ottenere un miocita e, infine,
solo quelle del foglietto intermedio se voglio ottenere un epatocita. In altri
termini, esiste questa legge: più una cellula si differenzia, più perde la
capacità di moltiplicarsi e più si allontana da ciò che potrebbe essere altro
in un altrove. Così, una cellula cerebrale, ad esempio, è una cellula altamente
differenziata, che non è in grado di moltiplicarsi più e, quindi, una volta che
hai, per un motivo o per un altro, perso i tuoi neuroni… buonanotte.
A questa legge della differenziazione cellulare sembra non
obbedire il cancro che, invece, fa un percorso inverso. Cioè, da una cellula
differenziata se ne forma una indifferenziata, che si divide in modo abnorme.
Anzi, più il tumore è indifferenziato e più è maligno ma, e questo è il
risvolto in qualche modo rassicurante, e più é sensibile agli effetti delle
radiazioni e della chemioterapia, ciò perché a questo livello i meccanismi di
difesa del DNA tumorale sono assenti.
Allora andiamo a vedere come è fatto il DNA, come si differenzia
da esso quello tumorale e come fa una cellula ad accrescersi. Tutte cose che
stanno nel grande progetto della vita.
Prendi una scala di legno e appoggiala al muro. Noterai che essa è
formata da due montanti (cioè i tratti lunghi) e da una serie di pioli che li
uniscono, e che chiami scalini. Se ora fai torcere questa scala, cioè le
imprimi una forza che la gira su se stessa, avrai ottenuto una rappresentazione
alquanto fedele di un filamento di DNA. La dimensione reale di questa scala è
nell’ordine del milionesimo di miliardesimo di millimetro (Angstrom) e, in
termini di lunghezza, qualche millimetro che, nella rappresentazione
proporzionale con una scala di 10
metri di altezza per 40 cm di larghezza, fa una
lunghezza di circa 20 km .
Vabbè. Andiamo ora a studiare come sono fatti i montanti.
I montanti altro non sono che molecole di uno zucchero, il
desossiribosio, unite una all’altra da un particolare legame chimico, che si
chiama Beta 1.4; ciò fa si che la “testa” di una molecola è legata alla “coda”
dell’altra. Testa e coda, testa e coda, testa e coda per milioni di volte:
abbiamo ottenuto un montante.
Adesso vediamo i pioli.
Se osservi bene, questi pioli presentano una saldatura centrale e,
se osservi attentamente, vedi che, un gradino sì e uno no, questa saldatura
cambia di posto. Tutta a destra nel primo piolo, tutta a sinistra nel secondo,
e di nuovo tutta a destra nel terzo e tutta a sinistra nel quarto. Come se il
falegname, dovendo fare dei pioli di 30 cm , ha unito alternandoli un pezzo da 10 e
un pezzo da 20. Una volta a destra quello da 10 (e quello da 20 a sinistra con saldatura a
destra), lo scalino successivo, quello da venti, a destra (e quello da 10 a sinistra con saldatura a
sinistra.). Un’ immagine sarebbe di per sé esplicativa, ma in mare non ho
scanner e programmi da disegno. Accontentati, o comunque cercala tu e osservala
mentre leggi.
Non solo questi pezzi sono di lunghezza diversa, ma tali comunque
da formare sempre pioli di 30
cm , ma sono anche di una tonalità di colore leggermente
diverso. Quelli lunghi sono tutti dello stesso colore mentre quelli corti sono
un po’ più chiari.
Siamo pronti a tradurre la metafora. Questi pioli sono fatti da
molecole, che chiameremo basi azotate. Queste basi sono: adenina, timina,
citosina, guanina e le indichiamo con le lettere A=adenina, T= timina,
C=citosina, G=guanina (qualcuno, soltanto nel secolo XX, le ha chiamate il
Mantra genetico).
Riepilogando, i montanti della scala sono fatti da molecole di desso
ribosio, unite da legami beta 1.4, i pioli da basi azotate disposte nel
seguente ordine: A-T, C-G.
Impara queste lettere perché sono importanti.
Ora scendi dalla scala, poggiala a terra e leggi i pioli. Vedrai
più o meno la seguente sequenza:
A-T
T-A
A-T
C-G
A-T
C-G
A-T
C-G
C-G
A-T
G-C
G-C
A-T
C-G
…
E così via, per 20
km di scala, e ogni scala è un solo cromosoma.
Moltiplica per 46 e capisci la quantità di informazioni che un singolo
filamento riesce a dare.
Informazioni? Ma non stavamo parlando di scale? Sì, però abbiamo
detto che questa scala la devi piegare tutta, prima sul suo asse centrale e poi
su se stessa, cioè per i montanti. Ma allora, più che una scala, vuoi dirmi che
è una specie di struttura elicoidale come i fusilli che mamma prepara con il
pesto? Esatto, immagina di avere una scala di corda, questa volta, prima
arrotolata su se stessa, come quando si strizza una straccio per lavare a terra
e poi ripiegata come se la dovessi mettere nel bagagliaio della macchina. Una
grande matassa di corda fatta a scala. Questo succede perché si stabiliscono
dei legami deboli covalenti (forze di Van der Waalls) tra le molecole delle
basi azotate iniziali e quelle finali (ripiegamento su se stessa) e tra le
molecole del desossiribosio che sta in alto con le basi azotate e con le altre
molecole di desossiribosio che sta in basso (strizzamento dello straccio). Non
credere che ciò avvenga a caso. Ci sono precisi punti stabiliti che fanno sì
che questo ripiegamento sia sempre lo stesso. Ogni cromosoma ha la sua forma
che è sempre uguale, non varia mai nella stessa specie. Cosa ti fa il caso…
Abbiamo detto informazione. Vediamo.
Abbiamo detto che il corpo è fatto di cellule. Queste cellule o
fanno la funzione dei mattoni di un edificio, oppure svolgono una funzione, una
attività funzionale, come per esempio produrre insulina, produrre ormone
adrenocorticotropo, produrre emoglobina, enzimi digestivi, neurotrasmettitori,
endorfine….
Se prendiamo in esame queste cellule, si apre il grande capitolo
della sintesi proteica che, a mio avviso, potrebbe essere chiamata la vita in
diretta.
Vediamo.
Torniamo alla cellula e, questa volta, diamole uno sguardo più
attento.
All’interno troviamo un macchia nera centrale, che è il nucleo: un
ammasso di cromosomi, rivestito da una membrana detta membrana nucleare. Non pensare
alla membrana cellulare come un sottile foglio di Domopak per alimenti.
Nossignore, la membrana è essa stessa una entità vivente, al pari della
cellula. Essa è composta da due strati di materiale fosfolipidico, materiale
grassoso (che la rende impermeabile all’acqua) e da proteine, che funzionano da
recettori cellulari e da carrier di trasporto: una specie di porta girevole per
passare delle cose. Così, se vuoi attivare una funzione cellulare , se vuoi che
la cellula risponda con prontezza in quello che sa fare, devi o attivare i
recettori, o veicolarle dentro certe sostanze. Per capire la membrana, immagina
un doppio strato di piselli Findus, disteso sul tavolo in perfetto ordine
geometrico, dal quale ogni tanto spunta o la testa di una piccola patata
(recettore) o una nocella (carrier di trasporto). I piselli sono le teste
polari dei fosfolipidi di membrana le cui code apolari (acidi grassi) sono
rivolte all’interno nel marmo del tavolo, e tu non le vedi . Esistono recettori
per tutto. Vuoi fare l’anestesia? Attiva con un farmaco i recettori per la
morfina, presenti sulla cellula. Vuoi svegliarti dall’anestesia? Spiazza con un
altro farmaco i recettori che prima avevi occupato. Vuoi far incamerare glucosio?
Attiva il recettore per l’insulina. Vuoi calmare lo stato di ansia, che a volte
ti pervade? Attiva con un farmaco i recettori per le endorfine, presenti in
alcune aree cerebrali.
Tutto è regolato dai recettori di membrana, anche molte malattie
sono dovute ad un mal funzionamento recettoriale: recettori che non rispondono
o rispondono male. A volte si ingannano e rispondono anche in assenza di
stimolo.
Immagina la cellula come una clausura. Se hai la chiave del
portone, puoi entrare, altrimenti niente. Il cibo me lo passi dalla finestra
girevole (carriers di trasporto) e te ne vai. Io non voglio avere nessun
contatto con te. Mi sono sempre chiesto come deve esse la vita di una cellula.
Di una che non sa niente del mondo che la circonda se non a mezzo di legami
recettoriali. Che solitudine! Che silenzio! Nel diabete, pensa, la cellula
soffre per la mancanza di glucosio, pur navigando in un mare di glucosio. I
suoi recettori insulinici richiedono a viva forza insulina, che non arriva se
non la inietti tu con una siringa sottocute. Già, ma noi questa insulina come
l’abbiamo ottenuta?
Torniamo allora alla sintesi proteica e vediamo come la cellula
pancreatica produce insulina.
Prima però, tesoro, devo finire di dirti altre cose sulla cellula.
Oltre al nucleo, nella cellula esistono tanti organelli. Alcuni di essi, meno
scuri del nucleo, somigliano un po’ alle arachidi: sono i ribosomi. Questi
ribosomi esistono in due tipi diversi, chiamati 30S e 50S, a seconda della loro
sedimentabilità dopo centrifugazione. Comunque il 30S è più piccolo e il 50S
più grande e i due lavorano in combinata, cioè il 30 è sovrapposto al 50 come
un mandarino su una arancia. Dimensione: qualche miliardesimo di millimetro. La
funzione di questi la vedremo subito perché devo , scusami ma è importante,
dirti una cosa.
Oltre al DNA, esiste anche un’altra catena che si chiama RNA
(quella che hanno i virus). Ciò che cambia è lo zucchero. Nel DNA è il
desossiribosio nell’RNA è il ribosio. Un‘altra differenza riguarda le basi
azotate che vedono la T =
timina sostituita dall’U=uracile. A che serve questo RNA? Serve a veicolare le
informazioni del DNA, cioè la disposizione delle basi del DNA, in che ordine
sono messe le lettere su quel pezzo di DNA che è un gene. Quindi, riepilogando,
un gene è formato da una precisa successione di basi del DNA, esempio ATTTCG,
che altro non sono se non i pezzi dei pioli presenti su un solo montante della
scala, una volta che essa si è divisa in due nel senso della lunghezza. In
genetica c’è un dogma che dice “da un gene ® una proteina, cioè ad ogni gene
corrisponde la formazione (o codificazione) di una specifica proteina e il
processo che sto cercando di farti capire è come si passa da un gene, fatto di
base azotate, ad una proteina fatta da aminoacidi (molecole contenenti un
gruppo amminico NH e uno acido COOH). Di queste molecole ce ne sono solo venti,
e con queste venti si costruiscono tutte le proteine. I loro nomi sono alanina,
fenilalanina, glicina, triptofano, valina, leucina, isoleucina, metionina,
treonina, arginina, ornitina, citrullina, prolina, serina, tirosina, glutamina,
istidina, taurina, acido aspartico e cisteina. Una proteina, allora, sarà
formata da tanti aminoacidi messi in fila e ciò va sotto il nome di struttura
primaria. Indicando, con l’abbreviazione, il nome degli aminoacidi, avremo che,
ad esempio, la struttura primaria dell’insulina sarà
Gly-Ile-Val-Glu-Gln-Cys-Cys-Thr-Ser-Ile-Cys… e via di seguito per circa 51
aminoacidi.
Abbiamo, quindi, nel DNA la sequenza di basi azotate ATT TCG CCG
CAG, a cui corrisponde, nella proteina, la sequenza aminoacidica
Gly-Ile-Val-Glu-Gln-Cys-Cys-Thr-Ser-Ile-Cys. Questo significa che c’è un codice
genetico che deve essere, in qualche modo, tradotto in sequenza di aminoacidi.
Questo processo prende appunto il nome di traduzione del DNA. Poiché
l'informazione contenuta nel DNA è talmente importante che non si può rischiare
di danneggiarla in alcun modo, quando c'è la necessità di leggere e tradurre
l’informazione in esso presente, si rende necessaria una copia del gene
corrispondente. L'operazione di copiatura viene detta di trascrizione del
messaggio e consiste nella formazione di una molecola di RNA, il cui compito è
quello di portare il messaggio al di fuori del nucleo ed affidare il messaggio
copiato ai ribosomi. Il processo di trascrizione viene reso possibile grazie ad
un particolare enzima, detto RNA- polimerasi (composto da 3 sub unità
allineate), che separa i due filamenti di DNA, favorendo la lettura della sequenza
dei nucleotidi di uno dei due filamenti. La sub unità α riconosce sul DNA una
sequenza di inizio composta dalla ripetizione di 4 basi Timina e Adenina (TATA
TATA). Una volta legatasi alle “tata box “, come si chiama la sequenza di
inizio, l'RNA-polimerasi scorre con la sua sub unità β lungo la doppia elica
aprendola come una cerniera lampo, e formando con la sub unità γ, un nuovo
filamento costituito da basi complementari del filamento di lettura. Verrà così
a formarsi un unico filamento di RNA messaggero, (mRNA), copia complementare
del filamento stampo del DNA che, una volta trasferito al complesso ribosomiale,
permette la traduzione del messaggio: l'RNA viene letto e contemporaneamente
altri filamenti di RNA, detti RNA-transfer (tRNA o trasportatore), veicolano e
consegnano gli aminoacidi necessari alla sintesi della proteina, secondo
l’informazione contenuta nell‘RNA messaggero, speculare a quella del DNA, un
tRNA , lo devi immaginare come una singola catena di basi con tre anse, un
filamento poliribolucleotidico a forma di trifoglio. Ogni
tRNA è amminoacilato (o caricato) con uno specifico aminoacido da un enzima,
che si chiama amminoacil-tRNA
sintetasi. Esiste soltanto uno amminoacil-tRNA sintetasi per ogni
aminoacido.
Il processo di sintesi proteica ha inizio con l'arrivo dell'RNA
messaggero sul ribosoma. Al primo codone, sequenza di tre basi, esempio TTA o
CCG, letto sul filamento di RNA messaggero, viene appaiato l'RNA trasportatore,
che possiede le basi complementari del primo codone, in questo caso AAT o GGC.
Sull'RNA trasportatore è legato l'amminoacido corrispondente a tale codone, che
viene così deposto come primo amminoacido della catena peptidica.
Successivamente, verrà letto il secondo codone e deposto il secondo
amminoacido, fino al completamento della sintesi della catena aminoacidica.
Se proprio lo vuoi sapere, devo dirti che esiste una
FASE DI INIZIO
Siamo nel citoplasma, e l'mRNA, appena trascritto dal DNA, esce
dal nucleo e va sul complesso ribosomiale (il mandarino sull’arancia). Con la
sua sequenza di inizio, si lega ad un
sito della sub unità minore del ribosoma. La sub unità minore (detta anche 30S)
si lega in prossimità dell'inizio della molecola di mRNA, perché qui vi riconosce
una sequenza di inizio, che è data dalla tripletta AUG. Anche l'anticodone
(UAC) del tRNA si appaia col codone d'inizio (AUG) del mRNA. A questo punto la
sub unità maggiore del ribosoma si lega
formando il cosiddetto "complesso d'inizio".
FASE DI ALLUNGAMENTO
A
questo punto, mentre il tRNA d'inizio è legato al primo sito di legame, un
secondo tRNA si può legare al sito di legame adiacente sul ribosoma,
appaiandosi col suo anticodone sul codone dell'mRNA adiacente a quello AUG di
inizio. Con l'appaiamento dei codoni e degli anticodoni, ovviamente, gli
aminoacidi portati dai tRNA si trovano, a questo punto, allineati, affiancati: si
ha così, in questo modo, la formazione del legame peptidico tra i due
aminoacidi affiancati, e il tRNA di inizio si stacca, sia dall'aminoacido che
portava (che ora si trova legato al secondo aminoacido, a sua volta ancora
legato al suo tRNA), sia dall'mRNA. Il secondo tRNA con il mini peptide
neoformato si sposta lateralmente nel sito che occupava l'altro (in realtà è il
ribosoma che si sposta...). Si avvicina un altro tRNA, che porta un altro
aminoacido, e si mette nel sito di legame 2, e via così finché la catena
aminoacidica neosintetizzata non si è completata, cioè finché non si trova
sull'mRNA un codone detto "di stop", triplette che specificano la
fine della traduzione: esse sono in tutti gli esseri viventi UAA, UAG e UGA.
Quindi, ogni volta che i ribosomi leggono sul filamento di mRNA una di queste
triplette, smettono il complesso d’inizio.
FASE DI TERMINE
Ribosoma
e peptide neoformato si distaccano
dall'mRNA. Il polipeptide è pronto per subire le modificazioni
post-traduzionali, che lo trasformeranno in proteina attiva e funzionale. Anche
qui intervengono quei legami deboli, o forze di Van der Waals, ma anche legami
forti, come ad esempio i ponti disolfuro, che sono legami zolfo–zolfo tra atomi
di zolfo di aminoacidi contigui. La proteina si ripiega su se stessa (struttura
secondaria), assumendo una posizione spaziale tridimensionale (struttura
terziaria), cosa che le vale l’acquisizione di una funzionalità specifica
(struttura quaternaria). È in questo modo che l’emoglobina acquisisce la
capacità di trasportare ossigeno, l’insulina la capacità di attivare i
recettori, che fanno incamerare alla cellula il glucosio, la tireoglobulina la
capacità di captare e trasportare iodio nella tiroide, il GABA (acido gamma
ammino butirrico) la capacità di attivare recettori ipotalamici e dei nuclei
della base encefalica per il controllo del movimento fine volontario.
Se sei stata attenta, mi chiederai : “e
l’altra parte del DNA che fine ha fatto?” Nessuna fine. Esso non è stato mai
trascritto. In altri termini, come quando cerchi solo un passo della Divina
Commedia, non la leggi tutta dall’inizio alla fine, così anche la lettura, trascrizione
e traduzione del DNA non avviene per tutto il DNA presente, ma solo per quei
geni, quei pezzi di DNA che interessano.
In altri termini, l’RNA messaggero non porterà tutta
l’informazione del DNA ogni volta che si necessita di una singola proteina, ma
solo quella dei geni che codificano per quella proteina interessata. Il che
significa che se necessita la sintesi della caseina del latte materno, l’RNA
polimerasi cerca in tutto il DNA il gene per la caseina da tradurre, come il
programma di un hard disk cerca un file e, una volta trovatolo, apre la catena,
copia il frammento e traduce l’informazione nell’RNA corrispondente: è il
vecchio dogma “da un gene una proteina”. Mi piace qui ricordare che questo
asserto, chiamato dogma, cioè verità indimostrabile, è stato sconfessato negli
ultimi anni, grazie a certi virus che possiedono nel loro patrimonio genetico
solo RNA. Come fanno allora i virus a veicolare un’informazione genetica, se
non hanno DNA? Come fanno a costruire le proteine del loro capside virale (il
guscio proteico che li protegge)? Si è scoperto che questi virus possiedono un
enzima, chiamato trascrittasi inversa, che da un filamento di RNA produce un
filamento di DNA. Questo poi va ad integrarsi con un meccanismo operato da
altri enzimi, detto di taglia e cuci, nel DNA della cellula ospite che così
sintetizza (inconsapevolmente?) le proteine di cui il virus necessita (se alle
origini c’erano degli archeobirus, potrebbero aver agito così sugli
archeobbateri). Il vecchio dogma è valido ma il contesto lo ha destabilizzato.
Virus di questo tipo sono alcuni virus tumorali, che inseriscono così nel DNA
degli oncogeni, cioè dei geni che codificano per delle proteine responsabili
del cancro e non ultimo i retrovirus tipo AIDS che vanno ad infettare,
innestando il loro DNA, una particolare classe di linfociti detti linfociti
T-helper o T4 responsabili della difesa immunitaria cellulo-mediata.
Questo, mio tesoro, è il mirabile mistero della vita in senso
biologico di tutti gli organismi viventi, ovverossia un progetto, una
perfezione, un fine, nascosto nel silenzio cellulare tra i miliardesimi di
millimetro e che non ha come suo scopo il dominio, la sopraffazione, la
tracotanza, bensì l’essere portatori di una capacità, di una facoltà, di una
disposizione e di uno stile di vita degli essenti umani, che si chiama amore.
Siamo così giunti all‘epilogo di ciò che avevo a cuore dirti sin dall’inizio, è
che, scava scava, era dentro la mia idea iniziale, da quando ho visto il
gabbiano. Prima ti ho parlato male dell’evoluzionismo. Ti ho detto, che come
tutti gli -ismi, non è in grado di dirci la realtà tutta, di essere esaustivo
di un mondo. Tuttavia, è innegabile che se osservi le ere storiche, una certa
evoluzione c’è stata (e non è quella che vogliono farci credere che dai pesci
fa derivare gli uccelli e poi i mammiferi e poi le scimmie e infine gli
uomini). Essa non è stata l’origine della
specie, ma all’origine della specie
fino al suo più completo e pieno adempimento: l’Amore. Esso esiste per me
addirittura a livello delle semplici molecole ed è proprio quello stesso amore
che si manifesta a livello umanizzato nelle nostre vite: la nascita dello
spirito. Perché non dovremmo pensare che lo spirito umano sia la forma più alta
ed evoluta della materia? Perché non dovremmo credere che evolvi, evolvi,
evolvi, ad un certo punto appare la coscienza? Questo processo, beninteso, non
può avvenire con quella modalità che viene studiata sui libri e da più parti
propalata. In questa evoluzione io ci ritrovo molte lacune, asserti dogmatici,
buche, falle, toppe, anelli mancanti e forzature di principi fisici, non ultimo
il secondo principio della termodinamica, che dice che la quantità di
disordine, di caos aumenta in un sistema e mai diminuisce. Per me l'uomo
tende al raggiungimento di uno stadio oltre-umano, dove lo spirito, in maniera
naturale e per nulla miracolistica o soprannaturale, tende a liberarsi
lentamente, ma definitivamente, della sua base materiale, in una vera e propria
corsa, come diceva Teilhard de Chardin, prima verso l’ominizzazione e poi verso
la spiritualizzazione e la realizzazione del massimo dell’umano. Ma essa non è,
come dicono gli insipientes, il nostro cervello e neppure il nostro DNA. Ti ho
già detto che il cervello è una condizione, non una causa. Tutto il mondo,
tutta la natura, tutto il creato è come proteso verso un vertice superiore, un
punto di fuga prospettico, che sta fuori il disegno, un culmine di perfezione
che si chiama Cristo. In altri termini, questa evoluzione ci porta ad un punto
di convergenza finale, dove il Cristo (non il Gesù storico) costituisce il
momento terminale di una specie in evoluzione oltre l'uomo stesso, oltre la
materia. Il ragionamento è: se l'Amore non fosse presente già nelle forme più
semplici e meno evolute dell'universo (non ho detto meno perfette), non
potrebbe manifestarsi nemmeno ai suoi livelli più alti e più complessi. E allora, la maniera più espressiva e
più intimamente esatta di raccontare l'Evoluzione universale consisterebbe
probabilmente nel rintracciare, in quel silenzio, l'Evoluzione dell'Amore e
delle Forme.
L’ Amore è paziente,
è benigno l’Amore;
è benigno l’Amore;
l’Amore non invidia, non si vanta,
non si gonfia, non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse, non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
ma si compiace della verità;
non si gonfia, non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse, non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
ma si compiace della verità;
tutto tollera, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta.
tutto spera, tutto sopporta.
S.
Paolo – Prima lettera ai Corinzi 13,1
… A
chi mi dice che sono un filosofo da strapazzo, o un teologo fallito, rispondo
che non sono né un filosofo né un teologo, ma un medico e, come tale, un
semplice osservatore del fenomeno, uno studioso della physis, un fisico nel
senso presocratico del termine. A chi mi dice che non sono un vero credente, e
che semmai dovessi esserlo, sarei un eretico, e quindi vuole, provocandomi,
alla fine sapere in cosa credo, rispondo: Credo in un solo Dio Padre (guarda la
virgola), onnipotente e creatore di un Universo in Evoluzione. Credo che questa
Evoluzione sia delle Forme e vada verso lo Spirito e la Bellezza. Credo questo
Spirito, che è Signore e dà la
Vita e si compie in maniera mirabile in un Essere Personale.
Credo nel Personale supremo che è Cristo (il Logos, l’Ipostasi, la seconda
persona della Trinità divina e, insieme, l’umano di Dio nella storia), punto di
fuga prospettico di tutte le cose, che per noi uomini e per la realizzazione
del cosmo, si è incarnato, patì, morì, fu sepolto ed il Padre lo ha risuscitato
e di nuovo lo vedremo nella gloria. Per sempre!
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